La mancanza di professionisti Ict specializzati continua a essere un problema in Europa, e rischia di mettere a repentaglio i potenziali benefici della trasformazione digitale in corso. Benefici non da poco: la Commissione Europea ha stimato che nel giro di un decennio (tra il 2020 e il 2030) l’economia dell’Ue potrebbe guadagnare 2.200 miliardi di euro di PIL addizionale grazie alle tecnologie che alimentano gli ecosistemi digitali, cioè smart city, industria 4.0, costruzioni, smart grid, sanità digitale, trasporti connessi, agricoltura smart ed e-government. Ma proprio la mancanza di competenze specializzate rappresenta un ostacolo.
Un nuovo studio commissionato da Vodafone a Deloitte ha calcolato che in Italia solo il 38% delle imprese utilizza attualmente i servizi di cloud computing. Una percentuale che è poco più della metà di quel 75% fissato dalla Commissione Europea come obiettivo da raggiungere nel 2030, al termine del “decennio digitale”. Lo scenario europeo non è migliore, anzi: nell’Ue a 27 la percentuale di aziende che utilizzano il cloud nel 2020 era appena il 26%.
Il cloud non è certo l’unico problema. Anche in fatto di connettività a banda ultralarga il percorso da compiere è ancora lungo. L’Europa punta, infatti, a ottenere il 100% di copertura delle abitazioni con connessioni Internet a banda ultralarga (Very High Capacity Networks, Vhcn) entro il 2030 ed eravamo a fine 2020 solo al 59%. Ancor più immatura è la situazione del 5G, perché dovremmo arrivare al 100% allo scoccare del nuovo decennio e nel 2020 la quota era solo del 14% (ma oggi è sicuramente cresciuta, come suggeriscono diversi dati di vendita di smartphone 5G).
Competenze e risorse per la trasformazione digitale
Sul tema delle competenze, l’Indice Desi (Digital Economy and Society Index) ci dice che nell’Europa a 27 solo il 56% della popolazione adulta nel 2020 possedeva delle abilità digitali di base, e c’è dunque un vuoto di 24 punti percentuali da colmare per arrivare al target dell’80% fissato per il 2030. Quanto agli specialisti Ict, in Unione Europea se ne contavano nel 2020 8,43 milioni, numero ben lontano dai 20 milioni dell’obiettivo di fine decennio. "È fondamentale per l'Europa colmare le carenze sugli obiettivi del Decennio Digitale evidenziati in questo rapporto”, ha commentato Joakim Reiter, chief external affairs officer di Gruppo Vodafone. “Senza specialisti Ict e senza Pmi digitalizzate e adatte al futuro, sarà difficile per l'Europa competere nei mercati globali e costruire le soluzioni industriali digitali di domani".
"Tutti i Paesi devono partecipare al rafforzamento e al miglioramento delle capacità digitali del nostro continente”, ha aggiunto Reiter. “I progressi che coinvolgono solo alcuni Stati membri non saranno sufficienti per raggiungere le ambizioni digitali dell'Europa. Mentre questi gap restano, la nostra visione di un'Europa competitiva, più ”verde” e più resiliente si allontana. Infatti, il Parlamento europeo ha recentemente stimato che il costo dell'inazione sarà di 1.300 miliardi di euro entro il 2032".
Come sottolineato dagli analisti di Deloitte, i finanziamenti per la trasformazione digitale e green degli Stati membri saranno soggetti a ulteriori cambiamenti in seguito al crollo del PIL indotto dalla pandemia (e con le ancora non calcolabili ricadute del conflitto russo-ucraino osserveremo, probabilmente, ulteriori modifiche nei piani di investimento nazionali e in quelli comunitari). Al momento, si può dire che gli Stati membri il cui PIL è crollato più del previsto, come Germania, Portogallo e Spagna, potranno beneficiare di maggiori sovvenzioni messe a disposizione dalla Commissioni Europea. Al contrario, l'Irlanda, la Romania e i Paesi Bassi potrebbero vedere diminuire sensibilmente le risorse messe a disposizione.
Quattro strategie per gli ecosistemi digitali
In conclusione, Deloitte suggerisce quattro strategie che potrebbero aiutare l’Europa e i suoi Stati membri a realizzare gli obiettivi del Decennio Digitale. La prima è un miglior coordinamento tra i governi degli Stati membri (autorità nazionali, regionali e locali) teso a garantire che gli investimenti digitali siano davvero mirati, sincronizzati e tempestivi. La seconda è il collegamento tra gli ecosistemi digitali, il cui successo dipenderà anche dalla capacità di collaborazione tra imprese e governi.
Terzo punto chiave è la condivisione dei dati, che dovranno essere accessibili, riutilizzabili e sicuri per poter sostenere i già citati ecosistemi digitali. Infine, per chi porta avanti i progetti sarà importante riuscire a dimostrare il valore degli investimenti con progetti pilota e con la misurazione dei benefici concreti ottenibili: solo così sarà possibile sbloccare finanziamenti pubblici e capire come muoversi fruttuosamente in futuro.