21/06/2023 di Redazione

Costi, geopolitica, sicurezza: per Netalia il cloud è italiano

La società guidata da Michele Zunino si propone come alternativa agli hyperscaler puntando sull’italianità, sulla compliance e sull’indipendenza.

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A volte il vino buono sta nella botte piccola, e la metafora vale anche anche se applicata al campo della tecnologia. E più precisamente, nel caso di Netalia, al cloud computing. L’azienda italiana, presente sul mercato dal 2010, non aspira (non può e non vuole farlo) a competere con i colossi hyperscaler come Amazon Web Services, Microsoft e Google Cloud: preferisce puntare sul valore aggiunto dell’italianità. Che non significa soltanto residenza delle infrastrutture di data center nei confini dello Stivale, ma è molto di più, come raccontato in un recente incontro con la stampa da Michele Zunino, fondatore e amministratore delegato di Netalia.

“Parliamo di cloud dal 2010”, ha esordito il manager. “Siamo nati da un’intuizione legata soprattutto al trattamenti dei dati, più che alla tecnologia”. Netalia ha fatto una chiara scelta di campo: posizionarsi tra i fornitori di public cloud fornendo alle aziende medie e grandi (private e pubbliche) servizi di infrastruttura e piattaforma, senza entrare nell’ambito del Software as-a-Service (SaaS). “Non crediamo al concetto di operatore verticalmente integrato”, ha detto Zunino. “Noi ci occupiamo della creazione, dello sviluppo e dell’esercizio della piattaforma. Per chi si occupa di SaaS siamo degli abilitatori”.

La società si appoggia in colocation a diverse strutture data center certificate, dentro alle quali crea dei Virtual Private Cloud, delle “bolle” che contengono la capacità computazionale e i dati dei clienti e che sono totalmente impermeabili l’una all’altra. All’interno del proprio spazio i clienti possono scegliere il modello architetturale di loro preferenza, incluse macchine virtuali e microservizi.

D’altra parte, nella visione di Zunino (che è anche presidente del Consorzio Italia Cloud, un soggetto portatore di interessi che siede ai tavoli della politica), il valore aggiunto del cloud sta più nella piattaforma che non nell’infrastruttura. Sta nella capacità di “interpretare il bisogno e di mappare i processi applicativi”, come l’azienda fa lavorando sia direttamente sui clienti sia insieme ai partner del proprio ecosistema.

Ma il valore aggiunto, nel caso specifico di Netalia, sta anche nell’italianità e nell’indipendenza. Affidarsi solo a un hyperscaler ha come svantaggio il rischio di vendor lock-in (tema oggi molto attuale, come evidenziato da diverse indagini di mercati), cioè di vincoli contrattuali e tecnologici che impediscono di abbandonare facilmente un fornitore cloud per passare a un altro o di combinare più offerte concorrenti senza frizioni.


La nostra focalizzazione”, ha raccontato l’amministratore delegato, “è stata da subito sulla compliance, sulla valorizzazione dell’informazione e sulla business continuity, con elementi architetturali tesi all’efficacia e all’efficienza del servizio”. Zunino ha sottolineato che offrire data center collocati in Europa o in Italia non equivale a essere operatori italiani, perché il quadro giuridico di riferimento resta quello statunitense. E questo fatto ha ripercussioni sia sugli utenti (specie in caso di eventuali contenziosi da risolvere) sia sul sistema-Paese, che rischia di perdere il controllo sulle proprie piattaforme di dati. “Il tema del Polo Strategico Nazionale si interseca fortemente con la nostra strategia”, ha proseguito il manager, “tant’è che per noi uno dei percorsi più importanti e anche onerosi è stato quello di certificarci come operatore abilitato da Acn (l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, NdR) per il trattamento dei dati della Pubblica Amministrazione”.

 

Michele Zunino, fondatore e AD di Netalia


Ragionando su un piano ancora più alto, l’AD di Netalia ha rimarcato che oggi le scelte nazionali sul cloud computing hanno ripercussioni di natura politica, economica e di sicurezza. Delegare totalmente o quasi la capacità di calcolo di un Paese (le sue aziende, la sua Pubblica Amministrazione) a soggetti extra europei potrebbe non essere la scelta più strategica . “Oggi il cloud è anche un tema geopolitico”, ha sottolineato Zunino, “e certe argomentazioni sulla competitività e sul perimetro giuridico iniziano a far presa soprattutto tra le aziende più strutturate. Riteniamo di poter avere un ruolo in questo contesto”.

Che cosa ci aspetta nei prossimi anni, nello scenario del cloud? “Credo che i costi energetici diventeranno un elemento centrale”, ha detto Zunino, “insieme alla necessità di governare le identità e l’accesso al cloud. Il digital trust sarà un tema presente nelle aziende”. L’ambizione di Netalia è quella di conquistare una quota del 2% nel mercato italiano del cloud pubblico entro il 2030, e se la percentuale pare modesta non bisogna lasciarsi ingannare. Secondo le ultime stime di Statista Market Insights, quest’anno la spesa nazionale in IaaS, PaaS e SaaS su cloud pubblico sfiorerà gli 8 miliardi di dollari (7,96 miliardi di dollari), e questo valore è destinato a crescere. Le buone premesse per arrivare all'obiettivo ci sono tutte: nel 2022 Netalia ha registrato un incremento di fatturato del 66% e quest’anno sta accelerando il passo.

 

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