Google non ha rispettato la privacy degli utenti, né la loro volontà di proteggersi da invasioni di campo nelle loro abitudini di consumo digitale. Da un tribunale federale di San Francisco è arrivata per l’azienda del gruppo Alphabet una bacchettata: una multa da 425,7 milioni di dollari, necessari per risarcire i 98 milioni di utenti che avrebbe subito violazioni di privacy su un periodo di otto anni.
La decisione del giudice arriva al termine di una class action avviata cinque anni fa. I querelanti avevano segnalato l’avvenuta raccolta dei propri dati, relativi all’uso del browser Chrome, dell’app di Google Maps, di Google News e di altri servizi del gruppo Alphabet. L’azienda ha raccolto e memorizzato i dati di queste attività nonostante gli utenti avessero disabilitato l’opzione di personalizzazione in “Attività Web e App” e un’altra impostazione relativa al tracciamento.
La raccolta dei dati è avvenuta attraverso applicazioni terze, tra cui quelle di Instagram, Uber e Venmo. Si tratta di applicazioni che utilizzano alcuni servizi di Google Analytics.
Come riportato da Reuters, l’azienda di Mountain View aveva sottolineato durante il processo che tutti i dati raccolti erano di natura non personale e che la loro archiviazione è avvenuta su risorse “segregate, sicure e crittografate”. Nessun dato raccolto era riconducibile a un account Google né permetteva di risalire a specifici utenti.
Un portavoce della società, Jose Castaneda, ha poi commentato la sentenza affermando che essa “fraintende il modo in cui funzionano i nostri prodotti. I nostri strumenti di privacy permettono alle persone di avere controllo sui propri dati, e quando disabilitano la personalizzazione noi rispettiamo la loro scelta”.
La pubblicità mirata, tramite motore di ricerca, su YouTube o su altre piattaforme, è la prima finalità dell’incessante attività di raccolta dati delle Big Tech, non solo di Google. Accanto all’advertising, i colossi del digitale hanno l’esigenza di raccogliere dati da dare in pasto agli algoritmi di machine learning, che per Google sono quelli del motore di ricerca ma anche, negli ultimi anni, i Large Language Model di Bard e, poi, Gemini.
Non è, naturalmente, la prima volta che la società del gruppo Alphabet si scontra con autorità giudiziarie o con enti regolatori sul tema della privacy. Quest’anno Google ha patteggiato un risarcimento da 1,4 miliardi di dollari per violazioni delle leggi sulla privacy dello Stato del Texas, mentre nella primavera del 2024 ha accettato di distruggere miliardi di righe di database, contenenti dati di navigazione su Chrome.