Nel 2020, l’anno del covid-19, dei lockdown e dell’inizio (tormentato) di una “nuova normalità”, molte aziende hanno capito di dover cambiare approccio per creare differenti e più solide relazioni con i propri consumatori. Altre hanno premuto l’acceleratore nella direzione già intrapresa della personalizzazione di prodotti e servizi, dell’omnicanalità. Il famoso “modello Amazon” si è allargato sempre di più ad altri e-commerce, ai grandi retailer, mentre anche gli operatori più piccoli hanno potuto sfruttare servizi di intelligenza artificiale basati su cloud per attività di marketing e relazione con i clienti. E ora? Ora, nel 2021, bisognerà fare qualche passo ulteriore, perché sappiamo che i bisogni dei consumatori non restano fermi e che nemmeno il marketing può permettersi di farlo.
A detta dell’ultimo report di Salesforce sui comportamenti d’acquisto, “State of the Connected Customer”, sempre più i consumatori desiderano rapportarsi con le aziende in modo empatico. Dalle interviste condotte su un campione di 15mila consumatori e responsabili d’acquisto aziendali di 27 Paesi, si è visto che la composizione “qualitativa” delle interazioni fra brand e utente si è spostata verso il digitale: nel 2019 la percentuale di interazioni digitali, sul totale, è stata del 41%; nel 2020 è salita al 58%. Il fatto certamente non stupisce, considerando come i lockdown abbiano forzatamente mutato le modalità di acquisto per buona parte dell’anno.
Progressi e limiti della relazione digitale
Lo scorso settembre un altro report (“Smart Talk: How organizations and consumers are embracing voice and chat assistants”), opera del Capgemini Research Institute ha evidenziato una forte accelerazione nell’uso di assistenti vocali e chatbot da parte dei consumatori. Confrontando dati di una precedente ricerca del 2017 e interviste condotte su 12mila utenti e mille dirigenti d’azienda, è emerso che il 40% delle persone che utilizzano assistenti vocali ha iniziato a farlo solamente nell’ultimo anno.
Nonostante questi progressi, oggi come oggi i consumatori non sembrano ancora pienamente soddisfatti della loro relazione digitale con le aziende. Secondo l’indagine di Salesforce, in Italia quasi sette su dieci pensano che l’emergenza sanitaria abbia contribuito a elevare le aspettative sulle interazioni digitali, ma una su due si lamenta della mancata condivisione di informazioni nella vendita e post-vendita digitale. L’intelligenza artificiale potrà colmare questa lacuna? I più giovani pensano di sì, in maggioranza: il 64% degli appartenenti alla Generazione Z (i nati dal 1995 in poi) e il 66% dei Millennial auspica un maggior utilizzo di questa categoria di tecnologie.
Come sappiamo, da tempo i software di apprendimento automatico vengono usati per far funzionare chatbot (utili nell’assistenza clienti) inseriti su siti Web e applicazioni, oltre che per la personalizzazione del prodotto/servizio (attraverso l’analisi di grandi moli di dati raccolte dal Web, dalle piattaforme di e-commerce, dai programmi fedeltà e dai social). Siamo certamente lontani dalla perfezione, però: online è esperienza comune trovarsi di fronte un chatbot che non comprende le nostre richieste oppure annunci pubblicitari non richiesti o, ancora, prodotti suggeriti non in linea con i nostri interessi.
L’intelligenza “made in Italy”
Nel 2021, dopo un anno di “digitalizzazione forzata” per molte aziende e consumatori, sarà ancor più importante per le aziende adottare tecnologie di intelligenza artificiale allo stato dell’arte. Dove reperirle? Stati Uniti e Cina dominano in questo campo, ma fortunatamente c’è qualche felice eccezione. Tra i chatbot, per esempio, si distingue Laila: sviluppata dalla startup campana Mazer, è una piattaforma che permette di creare assistenti virtuali “empatici”, in grado di comprendere anche le sfumature di significato nel dialogo con gli utenti.
Altro interessante caso di made in Italy è quello di Radicalbit, startup milanese (con uffici a Londra e ad Amsterdam) che ha sviluppato una piattaforma dichiaratamente user-friendly. Rna, acronimo di Radicalbit Natural Analytics, combina l’analisi in tempo reale e l’intelligenza artificiale fornendo risultati in forma visuale, attraverso una dashboard. Rna non è però solo una piattaforma di Event Stream Processing ma anche un ambiente di sviluppo nel quale i flussi di elaborazione dati e i processi di intelligenza artificiali sono strettamente connessi. I risultanti insight sono resi fruibili in una forma facilmente comprensibile e possono lanciare promozioni e comunicazioni di marketing in tempo reale, in risposta alle azioni compiute dagli utenti attraverso il Web e gli smartphone. È quello che il marketing ha già battezzato come “live stream shopping”.
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Ora la tecnologia della startup milanese potrà farsi conoscere da un maggior numero di aziende grazie all’accordo appena raggiunto con Engineering: la piattaforma Rna amplierà la sua attuale offerta di soluzioni di datastream analytics. “In un anno come quello che sta per concludersi, mentre i lockdown hanno colpito in modo estremamente forte l’economia e le vendite, abbiamo assistito per contro ad un’’accelerazione ancora più forte delle tecnologie”, ha commentato Vittorio Aronica, responsabile partnership e alliance tecnologiche di Engineering. La società, in particolare, potrà personalizzare e integrare nei sistemi di e-commerce dei suoi clienti la soluzione verticale per il settore retail di Radicalbit, denominata “GoLive”.