26/05/2016 di Redazione

Gli iPhone nascono dai robot, 60mila operai Foxconn sostituiti

A detta di fonti cinesi, la prima azienda produttrice degli smartphone di Apple avrebbe lasciato senza lavoro decine di migliaia di operai, sostituiti da macchine. Hon Hai Precision Industry, meglio nota come Foxconn, è tra le 35 società taiwanesi che sta

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Sono lavoratori efficienti, mai stanchi e soprattutto economici. I robot sono la gioia dei dirigenti della Foxconn e il dolore dei suoi operai: l’azienda taiwanese, uno dei principali fornitori a cui Apple si appoggia per la realizzazione degli iPhone, ha licenziato 60mila dei suoi operai rimpiazzandoli con le macchine. Il maxi-taglio riguarda la fabbrica del Kunshan, un distretto interno alla provincia del Jiangsu (a ovest di Shangai) a forte concentrazione industriale.

La notizia, riportata dalla testata cinese South China Morning Post, è stata confermata da uno dei dirigenti dell’impianto di Kunshan della Hon Hai Precision Industry (questo il nome non inglesizzato dell’azienda di Nuova Taipei, Taiwan): “Grazie all’introduzione dei robot”, ha dichiarato Xu Yulian, “la fabbrica Foxconn ha ridotto il numero di dipendenti da 110mila a 50mila. La riduzione dei costi del lavoro è stata un successo”. Da un’azienda già in passato accusata di sottoporre a turni di lavoro disumani i suoi uomini certo non ci si poteva aspettare particolare sensibilità, ma l’affermazione colpisce ugualmente per il suo cinismo.

E sebbene per gli operai licenziati assomigli a una doccia fredda, i segnali premonitori c’erano tutti. Lo scorso anno, nel Kunshan circa 35 società con quartiere generale a Taiwan hanno investito pesantemente nell’intelligenza artificiale, robotica inclusa, spendendo complessivamente 4 miliardi di yuan ovvero più di mezzo miliardo di euro. E nella lista, neanche a dirlo, è inclusa Foxconn.

Il percorso verso una progressiva “robotizzazione” delle fabbriche, anche quelle dove si svologno lavori di precisione come l’assemblaggio di uno smartphone, non è finito. Sulla base di uno studio condotto dal governo locale, come riporta sempre il South China Morning Post, nel Kunshan almeno 600 aziende starebbero considerando investimenti nel campo dell’intelligenza artificiale. Non una buona notizia per i 2,5 milioni di abitanti del distretto, due terzi dei quali provenienti da altre regioni della Cina e qui giunti proprio per le opportunità occupazionali.

 

 

Non troppo lontano, in Giappone, un recente studio del Nomura Research Institute ha stimato che nel 2035 nel Paese del Sol Levante i robot potranno svolgere il 49% delle attività professionali (su 600 occupazioni analizzate dall’indagine). Per gli Stati Uniti si ipotizza, da qui a vent’anni, una percentuale del 47% di “lavoro robotico”, mentre per il Regno Unito si arriva al 37%. Tra le categorie più esposte al rischio della sostituzione spiccano contadini, operai, fattorini e receptionist.

 

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