26/03/2019 di Redazione

I dati sono preziosi: le aziende lo sanno, ma li perdono comunque

Nel 2018 il 20% delle aziende italiane ha perso per sempre una parte del proprio patrimonio informativo. I danni economici ammontano in media a 1,5 milioni di dollari. I numeri di un nuovo studio di Vanson Bourne per Dell Emc.

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Un’azienda italiana su cinque l’anno scorso ha perso in modo irrecuperabile una parte dei propri dati a causa di un incidente o attacco informatico. E, facendo una media dei danni subiti dalle imprese di dimensioni intermedie grandi, in Italia risulta la non indifferente cifra di 1,5 milioni di dollari di costi per singola azienda colpita. Così emerge a un nuovo studio, il “Global Data Protection Index”, realizzato da Vanson Bourne per Dell Emc, in cui è stata analizzata la maturità digitale di imprese di 18 Paesi del mondo. Per farlo sono state raccolte le testimonianze di circa 2.200 manager di realtà del settore pubblico e privato da almeno 250 dipendenti, in Nordamerica, America Latina, Europa, Asia, Africa. Un campione piuttosto eterogeneo, che però non ha incluso rappresentanti delle piccole e microimprese (molto abbondanti in Italia, come noto).

Lo scenario generale è comunque inequivocabile: la quantità di dati cresce incredibilmente, e con essa aumentano i rischio e il danno economico degli incidenti informatici. Nel giro di un biennio la quantità di dati gestita dalle aziende pubbliche e private si è più che sestuplicata: +622%, da una media di 1,45 petabyte gestiti nel 2016 ai 9,07 PB del 2018. Nei Paesi più digitalmente sviluppati i numeri sono più alti: 18,48 PB gestiti in media dalle aziende italiane, 10,59 PB da quelle francesi, 10,8 da quelle britanniche. C’è da chiedersi, a dire il vero, se la presenza di dati duplicati giochi un qualche ruolo, e se due il numero più alto sia davvero un segno di maggiore digitalizzazione o piuttosto di inefficienza.

In ogni caso, è confortante il fatto che sul totale degli intervistati solo piccole percentuali abbiano detto di riconoscere nei dati della propria azienda un “minimo valore nel lungo termine” (6%), o di non aver ancora pensato al valore dei propri dati (1%) o di non avere un’opinione in merito (1%). Chi più e chi meno, il restante 92% riconosce invece un valore ai propri dati, avendo fatto o progettando di fare investimenti in tecnologie a supporto della raccolta, della gestione, degli analytics e della sicurezza.

“Il potenziale di informazioni che le aziende oggi hanno a disposizione ha un valore significativo”, ha sottolineato Filippo Ligresti, vice president & general manager commercial sales di Dell Emc Italia. “Questi dati, se correttamente gestiti e analizzati, permettono di ottenere importanti vantaggi competitivi in termini strategici, ma anche di poter diventare molto più agili e veloci nel prendere decisioni di business basate su fatti e nonsu  sensazioni, riuscendo a influenzare o anticipare alcune tendenze del mercato. Non sorprende, quindi, che il 92% delle imprese a livello globale sia già pienamente consapevole dell’importanza dei dati e che il 36% abbia già introdotto delle azioni concrete per valorizzarli a livello di business”.

 

 

“Global Data Protection Index”, Vanson Bourne per Dell Emc

 

A difesa dei dati, in particolare, si sceglie di puntare su soluzioni di backup, di continuous availability, di replica, di archiviazione e di snapshot, senza una schiacciante prevalenza dell’uno o dell’altro metodo. Il backup è ancora suddiviso tra risorse on-premise e cloud, mentre per l’archiviazione a lungo termine continua a resistere la scelta della più economica tecnolocia a nastro.

Tornando alle note dolenti, cioè al data loss, c’è un abbondante 68% di aziende italiane che ammette di aver dovuto affrontare le conseguenze di un episodio di questo genere. In media, le interruzioni di operatività in Italia sono durate 18 ore ad azienda, con un costo di 530mila dollari. Ma considerando anche gli altri costi diretti e indiretti, per quel 20% di aziende italiane che hanno perso dati in modo irreparabile il danno è stato in media di 1,5 milioni di dollari ciascuna.

 

Situazione di "maturità digitale" delle aziende italiane

 

Lo studio di Vanson Bourne ha anche misurato il grado di "maturità digitale" delle imprese dei 18 Paesi, valutando criteri quali il grado di valore risconosciuto ai dati, la velocità di recovery, l'affidabilità e la modernità dell'i'infrastruttura di backup. Il punteggio ottenuto ha permesso di dividere le aziende quattro categorie: leader, utilizzatori, valutatori e ritardatari. L'Italia ha recuperato terreno rispetto agli anni scorsi (undici posizioni guadagnate dal precedente Index) e può oggi vantare un 20% di aziende leader (la media mondiale è del 12%), un 55% di adopter (versus 57%), un 23% di valutatori (versus 29%) e un 2% di ritardatari (in linea con la media dei 18 Paesi).

 

 

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