Lo strano oggetto del Mit sa comprendere le parole non dette
I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology hanno messo a punto AlterEgo: un dispositivo indossabile dalla strana forma, capace di trascrivere le parole che l'utente verbalizza mentalmente senza pronunciarle ad alta voce.
Pubblicato il 07 aprile 2018 da Valentina Bernocco

L'intelligenza artificiale ha imparato anche a comprendere le parole che non vengono pronunciate. Dopo aver reso possibile l'esistenza degli assistenti virtuali capaci di rispondere a comandi vocali (pensiamo a Google Assistant, Siri, Cortana e Alexa), i software di analisi del linguaggio naturale, accoppiati agli algortimi di machine learning, hanno ora creato qualcosa di ancor più sorprendente, quasi fantascientifico. Un dispositivo wearable sperimentale, frutto del lavoro dei ricercatori del Massachusetts Institute of Technology e battezzato AlterEgo, può mettere per iscritto le parole pensate ma non pronunciate ad alta voce da chi lo indossa. Il sistema messo a punto non recepisce i comandi vocali bensì la subvocalizzazione, cioè l'immagine mentale del suono delle parole, solitamente prodotta nella mente di chi legge o ragiona o pensa a ciò che vorrebbe dire.
Fenomeno ben noto alla psicologia cognitiva e alle scienze del linguaggio, la subvocalizzazione è ancora un territorio inesplorato per le interfacce di computing. Questa attività non produce suono, ma può essere tracciata attraverso i recettori dei muscoli facciali, e dunque i ricercatori hanno condotto alcuni esperimenti posizionando degli elettrodi sulla faccia di alcuni volontari, chiedendo loro di “pensare mentalmente” le medesime frasi. Hanno quindi individuato sette posizioni particolarmente significative per tracciare le parole subvocalizzate.
La seconda fase dello studio ha previsto una serie di test in cui ai volontari veniva chiesto di ragionare su calcoli matematici e sulle mosse di una partita di scacchi. I ricercatori hanno, poi, impiegato delle reti neurali artificiali per correlare specifiche parole a specifici segnali neuromuscolari e, da qui, per “allenare” le reti neurali. Il software derivato da questo lavoro si è unito all'hardware: un indefinibile oggetto ricurvo, da indossare dietro a un orecchio così da posizionare l'estremità opposta in prossimità della bocca, inclusivo di elettrodi e di un auricolare a conduzione ossea.
Messo alla prova su dieci soggetti, il AlterEgo ha dimostrato di cavarsela piuttosto bene. Per ciscun individuo, nel primo quarto d'ora il sistema ha adattato il proprio software di calcolo alla neurfisiologia specifica di quella persona, e nella successiva ora e mezza ha “ascoltato” e interpretato le parole non dette. Risultato: un'accuratezza del 92%. Ma una tecnologia come questa, una volta perfezionata, a chi potrebbe giovare? Gli studiosi del Mit immaginano diversi impieghi possibili, partendo dalla considerazione di quanto gli smartphone e le loro app siano a volte non troppo immediati o intuitivi da usare. AlterEgo, per esempio, potrebbe servire a interrogare un assistente virtuale per smartphone o a navigare all'interno del menu di una smart TV.
Per quanto evolute, le attuali interfacce digitali richiedono azioni “innaturali” come il dover digitare una password o una parola in una maschera di ricerca. I “La nostra motivazione”, ha spiegato Arnav Kapur, principale autore dello studio, “è stata chiederci se si potesse ottenere una piattaforma di computing più interna, in cui uomo e macchina si fondano, e che sembri un'estensioe del nostro stesso pensiero?”. l gruppo di ricerca è attualmente al lavoro per estendere le abilità dell'applicazione a un vocabolario più vasto. E c'è chi, come il professor Thad Starner del Georgia Institute of Technology College of Computing, intravede un grande potenziale in questo metodo, immaginando per esempio un sistema utilizzabile in ambienti di lavoro molto rumorosi come aeroporti, aerei o fabbriche.
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