Russiagate, con Facebook raggiunti 126 milioni di cittadini
Si ingigantisce, con nuovi numeri, il ruolo del social network come megafono della propaganda russa a favore di Donald Trump. Oltre 60mila dollari sono stati pagati per inserzioni a pagamento su Google.
Pubblicato il 31 ottobre 2017 da Valentina Bernocco

Mentre la popolarità di Donald Trump scende ai minimi storici e il suo entourage perde i pezzi, con le dimissioni dell'ormai ex consigliere per la sicurezza, Michael Flynn, Facebook torna al centro del vortice politico e mediatico del Russiagate. Nuovi numeri quantificano le responsabilità del social network di Mark Zuckerberg rispetto all'opera di manipolazione dell'opinione pubblica statunitense prima e durante la campagna elettorale che vide contrapporsi il tycoon repubblicano e Hillary Clinton. Era già noto come Facebook avesse contribuito, pur senza dolo, a diffondere la propaganda di circa 470 account, che prima e durante il periodo di campagna elettorale hanno acquistato circa tremila inserzioni pubblicitarie. E già si era parlato della Internet Research Agency, agenzia di San Pietroburgo sospettata di essere un mediatore di agenti segreti del Cremlino, incaricata di influenzare l'opinione pubblica attraverso i social.
Fino a ieri, stando alle stime ufficiali dell'azienda di Menlo Park, si pensava che questi contenuti sponsorizzati avessero potuto raggiungere un'audience di dieci milioni di persone, mentre non era dato sapere in quanti avesso visualizzato anche i post pubblicati non in forma di inserzione. Ora una relazione di Colin Stretch, vicepresidente e general counsel di Facebook, svela che circa 126 milioni di cittadini statunitensi avrebbero letto 80mila post aggressivi e manipolatori, andati online fra giugno 2015 e agosto 2017. La Internet Research Agency avrebbe prodotto solo una piccolissima percentuale di questi contenuti.
“Queste attività sono in conflitto con la missione di Facebook di costruire comunità e con tutto ciò che rappresentiamo”, ha scritto Stretch nella sua relazione. “Siamo determinati a fare tutto il possibile per contrastare questa nuova minaccia”. Di chiunque siano le responsabilità, è evidente come i nuovi numeri polverizzino le precedenti stime e ingigantiscano ancora il ruolo di Facebook all'interno del Russiagate. Un ruolo che, sebbene involontario, cozza con la missione di lotta alle fake news di cui l'azienda si sta facendo portabandiera.
Ma il social network non è il solo protagonista del Web ad avere sul collo il fiato delle istituzioni statunitensi: in settimana proseguiranno anche per Google e Twitter le interrogazioni della commissione federale incaricata di far luce sul caso. Intanto Alphabet, la holding di Big G, ha fatto sapere che soggetti residenti in Russia hanno speso circa 53mila dollari in spot elettorali e contenuti manipolatori veicolati dal network di Google, mentre altri 4.700 dollari sono stati spesi da inserzionisti legati al Cremlino ma residenti negi Usa. Cifre piccole, se rapportate al budget pubblicitario ufficiale delle campagne elettorali di Donald Trump (23 milioni di dollari) e di Hillary Clinton (83 milioni), ma comunque da soppesare. Su Twitter, invece, secondo indiscrezioni sarebbero stati identificati 2.752 account fautori di propaganda e diffamazione ai danni di Hillary Clinton. Le stime ufficiali dell'azienda, invece, parlavano di appena 201 profili.
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