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La “nuova” Ibm si racconta: il futuro è nella trasformazione digitale

The Innovation Group ha intervistato Enrico Cereda, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia, per capire quale sarà il nuovo corso dell’azienda dopo l’acquisizione di Red Hat.

Pubblicato il 06 settembre 2019 da Redazione

Il futuro delle imprese, anche quelle italiane, è legato alla trasformazione digitale. E sarà la trasformazione digitale - dunque non il semplice acquisto di nuovo hardware, software o servizi destinati a un generico “aggiornamento tecnologico” - a garantire il successo delle aziende negli anni a venire. Un grande nome del mercato sta scommettendo su questa visione, accelerando la sua stessa trasformazione per agevolare anche quella dei clienti: è Ibm, società reduce dall’acquisizione più importante della propria storia, quella di Red Hat.

 

Roberto Masiero, fondatore e presidente di The Innovation Group, nel mese di luglio ha intervistato Enrico Cereda, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia, per capire quale sarà il nuovo corso dell’azienda ora che Red Hat fa parte della “famiglia”. Ictbusiness vi propone un estratto di questa intervista.

 

(Roberto Masiero) Parliamo dell’acquisizione di Red Hat: qual è la sua valutazione, quali saranno gli impatti a livello globale? E per quanto riguarda l’Italia, cosa comporterà?

 

(Enrico Cereda). L’acquisizione di Red Hat deve essere contestualizzata. Quello che si è osservato nel corso degli ultimi anni - sia a livello mondiale sia italiano - è un processo di crescita seguendo il quale le grandi aziende  hanno affrontato il digitale, per quanto riguarda il loro rapporto con i clienti, realizzando dei portali Internet più o meno sofisticati, puntando a mantenere (e in alcuni casi a migliorare) la relazione con il cliente: si pensi, ad esempio, alle banche e all’esplosione dell’home banking, che ha fatto sì che le persone oggi si rechino molto meno in filiale rispetto a prima. Quello che è stato fatto negli ultimi anni è stato principalmente “crearsi una vetrina”, fatta eccezione per poche aziende che si sono invece riorganizzate internamente sfruttando il digitale: tuttavia ci sono ancora molte aziende che pur avendo un portale internet di rilevanza non hanno cambiato i processi interni. 

 

Secondo noi il “chapter two” dell’evoluzione digitale va oltre l’“outside-in” (ovvero l’organizzarsi con portali internet per ricevere gli ordini o incrementare l’interazione con il cliente); quello che vedremo nei prossimi anni sarà invece l’“inside-out”, e cioè le aziende dovranno cambiare i loro processi, prima ancora che l’infrastruttura, per adeguarsi a quello che è il mondo del digitale. Quindi la trasformazione digitale avvenuta nel corso degli ultimi anni è solo parte di quello che succederà prossimamente, quando effettivamente le aziende cambieranno i loro processi interni. Questo significa naturalmente cambiare anche l’infrastruttura tecnologica e la parte applicativa, ambiti in cui noi vediamo un grandissimo potenziale nel corso dei prossimi anni: cambiare l’infrastruttura tecnologica nel cliente, portarla in un’ottica cloud (noi da tanti anni parliamo di hybrid cloud). Da qui l’acquisizione di Red Hat.  Il fatturato di Red Hat oggi è di tre miliardi, quello di IBM ottanta miliardi. Ma nel corso dei prossimi anni il risultato di questa acquisizione non consisterà semplicemente nella somma di questi due fattori; ad esso contribuiranno anche tutti i cambiamenti che i clienti dovranno implementare nella loro infrastruttura tecnologica: questa è la partita che ci giochiamo nel prossimo futuro. 

 

Enrico Cereda, amministratore delegato di Ibm Italia

 

 

Ibm non è particolarmente nota per l’agilità dei processi interni, come pensate di fronteggiare il rischio di “soffocare il bambino nella culla”?

 

Questa problematica è stata affrontata acquisendo negli ultimi anni circa un centinaio di aziende. Quando ero nel software degli Usa e ho seguito l’acquisizione di alcune aziende, si parlava del “blue wash”, un processo di integrazione, che veniva utilizzato fino a poco fa. 

Oggi con Red Hat la parola “integrazione” è vietata, si parla piuttosto di “sinergie”, perché abbiamo deciso di lasciare Red Hat come una società a sé, con il proprio brand, con cui ci saranno senz’altro ampie opportunità di collaborazione. 

 

Il terreno dell’open source è strategico ma scivoloso. Per quali motivi i clienti dovrebbero affidarsi a una Red Hat di Ibm? 

 

Perché noi siamo l’incumbent per molti clienti e quindi, naturalmente, per la sinergia che si può creare con Red Hat, che è a sua volta il leader del mercato open source. Una cosa importante è che noi vediamo OpenShift come il middleware nell’ambiente hybrid cloud. Poi sotto ci sarà l’Ibm cloud, Amazon, Azure o Google cloud, ma l’importante è che sopra ci sarà uno “strato” di OpenShift e naturalmente sopra a OpenShift ci saranno poi tutta una serie di soluzioni. 

 

[...]

 

Quali saranno le priorità e la strategia di Ibm Italia, in questo contesto? E quanto l'ingresso di Red Hat contribuirà a trasformare l'identità di Ibm? Vi invitiamo a continuare la lettura sulla newsletter di The Innovation Group.


 

Tag: interviste, red hat, ibm, the innovation group, trasformazione digitale

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