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Open source in crescita, e non solo perché costa meno

Un sondaggio di Red Hat evidenzia la crescita dell’uso di soluzioni “a codice aperto” nelle aziende, specie in ambito sicurezza e gestione del cloud. Tra le motivazioni, il risparmio non è la più determinante.

Pubblicato il 18 febbraio 2020 da Valentina Bernocco

L’open source piace sempre di più, perché conviene ma anche e soprattutto per altre ragioni. Il fattore costo non è più la motivazione trainante per le aziende che scelgono di adottare soluzioni basate su software “aperto”, pur restando indubbiamente un solido incentivo. Un sondaggio sponsorizzato da Red Hat e condotto da Illuminis su 905 professionisti (di aziende suddivise tra Stati Uniti, America Latina, Regno Unito e regione Asia Pacifico) ha evidenziato che per il 33% di essi la principale ragione per cui l’open source è stato scelto è stata la maggiore qualità del software. Tra le motivazioni citate seguono i minori costi totali di proprietà (30%), la migliore sicurezza garantita da questi software (29%), la predisposizione a funzionare nel cloud (28%) e il più rapido accesso alle ultime innovazioni (27%).

 

I buoni motivi per scegliere l’open source sono, dunque, molteplici e vanno ben al di là del desiderio di risparmio, che invece risultava preponderante nell’analogo sondaggio realizzato un anno prima. La percezione del fenomeno da parte delle aziende, dunque, sta cambiando. Va detto, per chiarezza, che i 950 intervistati sono stati scelti tra coloro che in azienda impiegano Linux anche solo in piccola misura (1% del software totale), tutti però ignari di chi fosse lo sponsor dell’indagine. “In questo modo abbiamo raccolto una visione più onesta e ampia del vero stato dell’open source aziendale”, sottolinea Red Hat.

 

 

(Fonte: Red Hat, "The State of Enterprise Open Source 2019")

 

Interessante notare come l’open source abbia ormai colonizzato anche aree un tempo tipicamente associate ad applicazioni proprietarie: gli ambiti in cui è più usato sono, attualmente, la sicurezza informatica (per il 52% delle aziende interpellate), gli strumenti di gestione del cloud (51%) e i database (49%). 

 

Più in generale, il fenomeno è in ascesa.  Nel sondaggio realizzato l’anno scorso una quota già molto alta di intervistati, 89%, aveva dichiarato che l’open source fosse importante per la strategia software della propria azienda, mentre quest’anno la percentuale è salita al 95%. Va poi fatta una distinzione: le soluzioni di enterprise open source prevalgono su quelle community-based, cioè create da community di sviluppatori e contributori ma non marchiate da alcun vendor. Entrambi gli approcci, in ogni caso, cresceranno nei prossimi due anni e lo faranno a discapito del software proprietario. L’83% degli intervistati sostiene che l’enterprise open source sia stato determinante per consentire all’azienda di sfruttare le architetture del cloud. 

 

(Fonte: Red Hat, "The State of Enterprise Open Source 2019")

 

L’affinità tra open source e mondo aziendale balza sempre più all’occhio non soltanto attraverso sondaggi come questo, ma anche attraverso le scelte strategiche dei vendor. Ha fatto scalpore, l’anno scorso, la maxi acquisizione di Red Hat da parte di Ibm, mentre nel giugno del 2018 la piattaforma GitHub è stata inglobata da Microsoft. Alcuni colossi del software proprietario, come Google e Adobe, sono ad oggi tra i principali contributori di progetti basati su codice aperto. Secondo i calcoli di Statista, il giro d’affari mondiale dei servizi open source aveva raggiunto nel 2019 i 17,4 miliardi di dollari, valore che salirà a 21,6 miliardi di dollari quest’anno per arrivare a sfiorare quota 33 miliardi di dollari nel 2022.

 

 

Tag: scenari, mercati, red hat, software, open source

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