26/04/2022 di Redazione

Quale cloud per le aziende e la Pubblica Amministrazione italiana?

Il Pnrr potrà essere un motore di modernizzazione digitale, ma è essenziale approcciarsi al cloud nel modo giusto. Le strategie di Hpe, Ibm, Microsoft, Google e Noovle.

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Il Pnrr potrà spingere la Pubblica Amministrazione italiana, oltre che le nostre aziende, verso la modernizzazione digitale. Un motore che avrà effetti su tutto il Paese, un Paese che è in viaggio verso il cloud, come è stato recentemente ribadito dai rappresentanti di  Hpe, Ibm, Microsoft, Google e Noovle (la cloud company di Tim) ospiti di un evento organizzato da The Innovation Group e dedicato al tema  “Lo scenario economico e del mercato digitale nel 2022”. Le potenzialità del cloud erano note, ma ci è voluta una pandemia per far capire ad aziende, privati e Pubblica Amministrazione che il mondo, se digitalizzato, riesce ad andare avanti lo stesso, nonostante gli impedimenti fisici. Andare avanti ma soprattutto, se il cloud sarà sfruttato in ottica strategica e non unicamente emergenziale, andare molto meglio.

A dare la sveglia ci ha pensato l’Unione Europea, che ha vincolato ai progetti di digitalizzazione una buona percentuale dei fondi di recupero alla crisi economica destinati ai vari paesi membri. Un flusso di denaro destinato all’Ict che parte dallo svecchiamento e ottimizzazione dei processi della Pubblica Amministrazione per ricadere, a cascata, sulle aziende direttamente o indirettamente a essa collegate, con la speranza di innescare un circolo virtuoso che faccia recuperare anni di ritardo nell’utilizzo del digitale. Quest’ultimo è un tema particolarmente calzante per un’Italia tradizionalmente pigra e ritardataria nell’adottare tecnologie innovative per il business.

La missione è quindi quella di portare l’Italia, e soprattutto la nostra PA, sui binari rapidi del cloud, una missione cui certamente non si sottraggono i maggiori produttori e fornitori di tecnologie digitali presenti nel nostro Paese. C’è il cloud, dunque, come strada preferenziale da percorrere per l’innovazione digitale. Ma per Claudio Bassoli, presidente e amministratore delegato di Hpe Italia, le esigenze guardano già a un nuovo cloud rispetto a quello attuale, un cloud di nuova generazione che possa in maniera ancora più efficace fare crescere la produttività nella PA. “Un cloud che si concentri veramente sulla logica dell’as-a-service e che sia in grado di integrare il concetto del multicloud, che cooperi con i cloud pubblici e che riesca a interpretare e gestire i dati direttamente dove essi vengono generati, dall’edge”, così lo ha descritto Bassoli.

 

Claudio Bassoli, presidente e amministratore delegato di Hpe Italia

 

Punti periferici e fabbriche sempre più si stanno rivelando essere generatori di dati, i quali, se gestiti alla nascita e inseriti direttamente in cloud, consentono alle aziende di svincolarsi dal porting degli applicativi. Il risultato è calcolato in una riduzione fino al 70% del tempo di rilascio delle applicazioni. Temi che oggi, con gli aumenti dei costi dell’energia, ancor di più assumono importanza, consentendo alle aziende di sviluppare strategie proprio grazie all’ausilio di strumenti digitali innovativi. Sul risparmio energetico Hpe è impegnata  da anni e oggi può dichiarare di avere ridotto di trenta volte il consumo di ogni componente della propria piattaforma digitale. Il taglio complessivo del consumo delle propria infrastrutture che arriva al 33% e ogni singolo elemento è quasi interamente riciclabile.

Infrastrutture moderne e, ovviamente, in cloud, stanno dunque diventando sempre più un obbligo anziché una scelta. Soprattutto quando si parla di Pubblica Amministrazione, per la quale le analisi effettuate nell’ambito del Piano Strategico Nazionale (Psn) hanno rilevato, in generale, l’utilizzo di data center poco sicuri e di applicazioni non al passo con i tempi. “La spinta alla modernizzazione della PA parte direttamente dal Paese”, ha affermato Carlo D’Asaro Biondo, Ceo di Noovle. “La velocità e il grado di digitalizzazione sono elevati nel singolo individuo, molto di più che nelle aziende e soprattutto nella PA, ed è naturale che ognuno si aspetti anche in questi ambiti la stessa facilità di accesso agli applicativi che normalmente utilizza a casa propria. Il processo dev’essere estremamente semplice. E il cloud lo consente”.

 

Carlo D’Asaro Biondo, Ceo di Noovle

 

Come dovrà essere il cloud per la PA e le aziende italiane
Ma come dovrà essere il cloud adottato dalle nostre Pmi e dai nostri enti pubblici, per avere effetti trasformativi? Mentre la user experience dev’essere improntata alla semplicità, sotto tutto questo si cela, invece, per la PA un lavoro complesso di trasformazione dei costi fissi in costi variabili, cioè un passaggio da Capex a Opex, dirottando al contempo competenze, sforzi e risorse (prima impiegati per la gestione dell’infrastruttura) verso investimenti sugli applicativi.

Un’accelerazione verso il cloud, in ogni caso, c’è stata ed è evidente. La spinta data dalla pandemia ha creato nuove necessità nei clienti che, bloccati a casa, hanno dirottato sul cloud le proprie esigenze d’acquisto. “Il risultato è stata un’esplosione nella richiesta di cloud, che ha portato domanda e offerta a diversi livelli di maturità”, ha spiegato Daryoush Goljahani, channel sales director Italy di Google Cloud Italia.”Ha stimolato, inoltre, una trasformazione dei modelli di business, orientati alla disintermediazione e ad avere un rapporto diretto con i clienti. Una situazione che, più che il tema della nazionalizzazione delle infrastrutture, ha sollevato il problema della necessità di un’espansione dell’infrastruttura stessa”.

 

Daryoush Goljahani, channel sales director Italy di Google Cloud Italia

 

Se prima dell’emergenza sanitaria l’offerta di servizi cloud era nettamente superiore alla domanda, oggi ci si trova nella situazione opposta. E qui il ruolo del canale dei partner diventa fondamentale, con operatori che non devono improntare il rapporto con il cliente sulla base della tecnologia, ma declinando l’offerta sulle specifiche esigenze di business della singola azienda. “Il canale è il vero traduttore di queste esigenze”, ha sottolineato Goljahani, “e per questo stiamo lavorando a stretto contatto con i nostri partner per valorizzare il ruolo consulenziale che devono avere nel proporsi ai clienti”.

Adattabilità alle esigenze dei clienti, ibridazioni, integrazioni, interoperabilità sono caratteristiche sempre più apprezzate, se non espressamente richieste da parte dei clienti. Temi che stanno particolarmente a cuore a Ibm, che dopo l’acquisizione di Red Hat ha riposizionato tutta la propria offerta “as-a-service” sul concetto di Open Hybrid Cloud. “Il cloud è stato ormai digerito dalle aziende, come anche le sue virtù”, ha detto Nico Losito, vice president technology di Ibm Italia, “ma la sfida oggi è la gestione dell’eterogeneità che contraddistingue sempre di più i vari progetti digitali delle aziende. Una eterogeneità che va governata se non si vuole rischiare che sfugga di mano”.

Orientarsi sul cloud avendo in casa tecnologie eterogenee non significa per forza ricominciare a costruire l’infrastruttura da zero, così come anche l’acquisto di tecnologie differenti per l’on-premise deve schivare il rischio di una complessità che potrebbe ostacolare lo sviluppo di progetti. “Attraverso l’Open Hybrid Cloud, Ibm pone un layer Red Hat che consente interoperabilità tra differenti cloud e infrastrutture, disaccoppiando e governando la complessità”, ha spiegato Losito. “Un’apertura dell’offerta che è figlia di un profondo cambiamento che Ibm stessa ha compiuto negli ultimi anni, portandola a connotarsi come technology company che si occupa di software e tecnologie, mantenendo il capitale di competenze di Ibm Consulting. Si tratta di un passaggio che ha fortemente valorizzato anche tutto il nostro ecosistema di partner. I system integrator saranno la catena di amplificazione della nostra strategia sul mercato. Il concetto di ‘one stop shop’ del passato oggi non ha più ragione di esistere. Bisogna puntare alla specializzazione e alla capacità di fare ecosistema”.

 

Nico Losito, vice president technology di Ibm Italia


Il ruolo dell’ecosistema e il problema delle competenze
L’ecosistema, concetto più volte evocato nel corso dell’evento, deve differenziarsi e collaborare proprio sulla base delle singole competenze apportate come valore per la riuscita di progetti, anche complessi. Questo sarebbe l’ideale, ma bisogna fare i conti con la realtà italiana, che non è in grado di produrre sufficienti competenze sulle nuove tecnologie digitali, generando uno skill shortage che, con il contraltare dell’aumento e dell’accelerazione della domanda di progetti di innovazione, si va progressivamente e velocemente ingrandendo. Matteo Mille, chief marketing and operation officer di Microsoft Italia, ha lanciato l’allarme: “In Italia mancano data scientist e altre figure specializzate, con sole 180.000 risorse disponibili a fronte di un tasso generale di disoccupazione del 9%. Una carenza drammatica che si sta alimentando proprio nel momento in cui il Pnrr richiede progetti per l’innovazione digitale del Paese. Progetti che, per definizione, chiamano risorse competenti, senza le quali nessuna trasformazione può attuarsi”.

E anche se tutti parlano di formazione, a quanto pare non esiste una struttura centrale per gestire questo skill shortage. Il contributo di Microsoft alla risoluzione del problema è consistente, attraverso l’investimento di un miliardo e mezzo nel progetto Ambizione Italia, un percorso formativo che ha l’obiettivo di istruire tre milioni di persone nei primi due anni e di colmare il gap di 900.000 risorse entro cinque anni. “Il mercato c’è”, ha proseguito Mille, “dobbiamo evitare che le competenze vengano importate dall’estero, mentre sono ancora poche le aziende che hanno iniziato, a oggi, un iter formativo dare o aggiornare le competenze dei propri dipendenti”.

 

Matteo Mille, chief marketing and operation officer di Microsoft Italia

 

Ma anche dal punto di vista commerciale la domanda di digitalizzazione, quella che arriva dalle tante Pmi italiane, sta esplodendo. Il canale di Microsoft si compone di un network capillarmente esteso di qualche decina di migliaia di partner che, però, non ce la fa a toccare quelle 400mila piccole e medie imprese che (su un totale di quattro milioni di Pmi presenti in Italia), possono essere indirizzabili. Per questo motivo, Microsoft si sta appoggiando anche a partner che riescono a essere ancora più capillari, coinvolgendo operatori del calibro di Poste Italiane, Telecom Italia e altre utilities in modo da assicurare, grazie ai continui investimenti sulla propria piattaforma, maggiore prossimità ai clienti a livello locale che vogliano impostare le proprie strategie di crescita con l’ausilio della digitalizzazione.

 

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