13/11/2025 di Giancarlo Calzetta

Collaborazione e controllo: gli italiani accettano l’AI se non comanda

Una ricerca Workday rivela che tre lavoratori italiani su quattro collaborano volentieri con l’AI, ma solo il 25% accetterebbe una leadership algoritmica. Le aziende spingono sugli agenti intelligenti, ma la fiducia richiede trasparenza, governance e centralità delle persone.

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L’adozione dell’AI in azienda procede spedita, ma a differenza di molte rivoluzioni tecnologiche del passato, stavolta il fenomeno di porta dietro un pesante bagaglio sociologico. Un recente studio di Workday, infatti, mostra come la disponibilità dei professionisti italiani a collaborare con sistemi intelligenti sia consolidata, ma soggetta a paletti basati più su dinamiche personali che non lavorative. Tre lavoratori su quattro dichiarano infatti di sentirsi a proprio agio nel lavorare insieme agli agenti AI, però il quadro diventa più sfumato quando si parla di ruoli decisionali: soltanto un quarto degli italiani accetterebbe una gestione diretta da parte di agenti intelligenti. Questo divario apre un interrogativo cruciale per le imprese, impegnate in un percorso di trasformazione digitale che necessita di tecnologie avanzate ma anche di un solido rapporto di fiducia con le persone.

La spinta delle imprese verso l’adozione dell’AI agentica

Resistenze culturali o meno, le aziende sono fermamente decise a sfruttare a fondo l’AI, tanto che a livello globale più di otto aziende su dieci stanno ampliando l’utilizzo degli agenti AI e in Italia la percentuale sfiora il settanta per cento. Un segnale chiaro della direzione che il mercato sta intraprendendo, trainato dalla necessità di aumentare produttività, velocità operativa e continuità del business. Nel nostro Paese, la maggior parte delle organizzazioni ha iniziato a integrare agenti intelligenti nei processi quotidiani, mentre i dipendenti percepiscono un impatto tangibile sulle attività svolte. La richiesta di mantenere la regia umana su decisioni strategiche non rappresenta quindi un rifiuto della tecnologia, ma una richiesta di equilibrio.

La ricerca di Workday mette in evidenza un pattern costante: la collaborazione tra persone e sistemi intelligenti viene percepita come vantaggiosa, mentre la delega decisionale resta un tema sensibile. L’Italia rispecchia questa dinamica con grande precisione. Se da un lato i professionisti sono favorevoli a ricevere suggerimenti, analisi e indicazioni sui percorsi di sviluppo delle competenze, dall’altro mostrano cautela rispetto all’idea che un algoritmo possa pianificare, assegnare o supervisionare il loro lavoro. La fiducia decresce ulteriormente nel caso degli agenti operativi in background, percepiti come opachi e privi di una supervisione chiara. Per questo, il report sottolinea l’importanza della trasparenza e della responsabilità: la governance dell’AI deve essere esplicita e comprensibile per favorire una diffusione realmente sostenibile.

L’esperienza diretta con l’AI come leva di fiducia

Uno degli aspetti più rilevanti emersi dallo studio riguarda la correlazione tra esperienza pratica e fiducia nei sistemi intelligenti. I professionisti che hanno già avuto occasione di utilizzare agenti AI in modo routinario mostrano livelli di fiducia significativamente superiori rispetto a chi si trova ancora nella fase esplorativa. È un passaggio fondamentale per le aziende: introdurre gradualmente gli strumenti, permettere alle persone di familiarizzare con essi e misurarne il valore operativo contribuisce a creare un clima favorevole all'innovazione. È una trasformazione che non riguarda solo la tecnologia, ma il modo in cui le organizzazioni costruiscono cultura, tenendo ben presente che ogni innovazione di grande portata tende a incutere nei dipendenti timori ben precisi sugli sviluppi futuri della propria posizione lavorativa.

La promessa dell’intelligenza artificiale nel migliorare l’efficienza delle attività lavorative è riconosciuta in modo trasversale. Quasi tutti i professionisti italiani intervistati ritengono che gli agenti intelligenti permetteranno di incrementare la produttività individuale e dei team. Allo stesso tempo, una parte dei lavoratori teme che questi miglioramenti possano comportare aspettative più elevate, carichi di lavoro intensificati e nuove forme di pressione. Per le aziende il tema non è solo tecnologico: la gestione del cambiamento deve includere il benessere organizzativo, affinché la transizione all’AI agentica sia equa e sostenibile nel lungo periodo.

I ruoli dove l’AI è più accettata

Non tutte le attività vengono percepite allo stesso modo. La fiducia negli agenti AI è maggiore in aree operative e di supporto, come l’help desk IT, la formazione continua e il supporto alla gestione dei dati. Risulta invece più contenuta quando si parla di funzioni strategiche come la selezione del personale, la gestione finanziaria, le decisioni legali o il controllo dei rischi. Il quadro che emerge è quello di una separazione naturale dei ruoli: gli agenti AI sono considerati “membri estesi del team”, utili e competenti, ma non sostitutivi delle professionalità umane nei processi in cui giudizio, leadership e responsabilità sono centrali.

Uno dei capitoli più interessanti della ricerca riguarda il settore Finance, che negli ultimi anni ha registrato una significativa scarsità di giovani professionisti e competenze specializzate. In questo contesto, l’AI rappresenta un fattore abilitante. A livello globale tre quarti degli operatori finanziari ritengono che gli agenti intelligenti possano giocare un ruolo chiave nel colmare il gap di competenze. In Italia la fiducia è ancora maggiore, con una percentuale che supera l’ottanta per cento. Anche la preoccupazione per il rischio occupazionale è limitata: solo una piccola minoranza teme impatti negativi. Le applicazioni più diffuse dell’AI nel Finance confermano questa visione: previsioni e pianificazione finanziaria, reportistica, analisi antifrode e gestione dei rischi sono gli ambiti in cui l’intelligenza artificiale sta già mostrando risultati concreti.

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