L’intelligenza artificiale è degna di fiducia? Per il 57% delle aziende della regione Emea, lo è sicuramente: altrettante, secondo una recente indagine di Insight (basata sul suo “AI Maturity Report”), nutrono “molta fiducia” nell’affidabilità dei sistemi di AI. Eppure, solo il 5% delle aziende Emea ha già pienamente integrato questa tecnologia nei propri processi e nel proprio modo di lavorare. In Italia il dato sale all’8%. Di contro, da noi appena il 16% delle aziende aveva già, al momento dell’indagine, portato i progetti di adozione oltre la fase pilota. Ha commentato per noi questi dati Pietro Marrazzo, general manager per l’Europa del Sud di Insight.
Come spiegate le discrepanze tra i dati italiani e i dati di medie emersi dal vostro ultimo report? In particolare, sull’AI sembriamo essere più curiosi e sperimentatori, ma più lenti nel portare a termine i progetti…
La fotografia che esce dai numeri, in un certo senso, è proprio questa. Intanto, dobbiamo sottolineare che il tradizionale divario nell’adozione tecnologica tra Nord e Sud dell’Europa sembra essere molto attenuato rispetto ai decenni passati, quando gli analisti individuavano senza difficoltà dei mercati (e quindi dei Paesi) di early-adopter, delle zone ricche di follower, e ovviamente anche zone che venivano indicate come neutrali o addirittura venivano classificate con il termine di lazy dogs, cioè Paesi che sistematicamente erano gli ultimi ad adottare le tecnologie a livello europeo.
Forse la globalizzazione non solo delle tecnologie, ma fortunatamente anche delle competenze, ha permesso oggi di vedere queste differenze ridotte ad alcuni punti percentuali, spesso al limite della significatività. E anche la disponibilità globale di tecnologie attraverso il cloud abbatte queste differenze; è vero che le aziende italiane sono certamente tra le più curiose nel panorama europeo, e forse anche tra le più creative nell’individuare spazi di applicazione e percorsi di adozione, anche perché sempre più le aziende italiane vivono e prosperano in contesti e mercati che sono comunque internazionali. Forse il leggero rallentamento nella velocità di esecuzione dei progetti potrebbe essere collegato alla situazione generale del sistema Paese: l’Italia è una delle zone che è cresciuta meno in termini di potere reale d’acquisto all’interno dell’Eurozona negli ultimi vent’anni, e ciò probabilmente si traduce in maggiore oculatezza nelle fasi di valutazioni dei progetti e dei relativi budget, ad esempio.
Rispetto al vostro punto di osservazione sul mercato italiano, c’è un dato che vi ha particolarmente sorpresi, o viceversa avete trovato conferme?
È una gradita conferma vedere che le aziende italiane non hanno nulla da invidiare alle aziende degli altri Paesi europei. Anzi, nella categoria delle aziende di media dimensione direi che quelle italiane si stanno muovendo con rapidità e agilità, individuando casi d’uso e trovando rapidamente le risorse per finanziare i primi progetti pilota. L’Italia in generale è un buon serbatoio di competenze, e questo aiuta le aziende – e anche noi – a reperire velocemente skill ed esperienze che poi fanno la differenza tra idee e progetti realizzati.
Ricollegandoci al punto precedente, direi che le aziende italiane sono più oculate e forse un po’ più riflessive nella fase di implementazione, ma spesso arrivano a risultati che qualitativamente sono di tutto rispetto anche nei confronti degli altri Paesi: non so se sia un effetto collaterale della creatività che viene tradizionalmente riconosciuta al nostro Paese.
Pietro Marrazzo, general manager per l’Europa del Sud di Insight
Tra le aziende italiane vostre clienti, quali sono i casi d’uso di adozione dell’AI più frequenti? Si opta per soluzioni “pronte all’uso”, come per esempio software con funzionalità di AI integrate, o si realizzano anche attività di sviluppo?
Direi che riscontriamo un percorso piuttosto comune: si parte dall’adozione di strumenti più o meno pronti all’uso, nel senso che a volte i sistemi sono pronti ma non è detto che lo siano anche le piattaforme dati sottostanti a disposizione dell’azienda, e man mano si individuano possibili modifiche, esigenze, integrazioni con altri sistemi o con altri flussi operativi aziendali. Da questo punto in poi ci si allontana, in un certo senso, dal concetto di strumento out-of the box, per avvicinarsi all’idea di logica operativa personalizzata.
Un caso d’uso frequente che ha seguito questo percorso è stato quello della Generative AI: si è partiti dall’automatizzazione della lettura e della scrittura (magari a scopi di sentiment analysis o di riassunto e interpretazione di testi) per avvicinarsi a scenari più articolati e anche di responsabilità, come la verifica di compliance in contesti normativi complessi. E spesso si è arrivati alla creazione di veri e propri motori di ricerca semantici multimediali per specifici dipartimenti o ambienti di produzione, in grado di effettuare, all’interno della knowledge base aziendale, verifiche su documenti tecnici e progettuali, di evidenziare criticità, suggerire modifiche, proporre correzioni. Ovviamente le aziende che hanno competenze più sviluppate passano poi con maggior autonomia e confidenza da scenari no-code a soluzioni low-code o anche più complesse.
Che approccio stanno adottando le aziende rispetto all’Agentic AI? Il tema è di loro interesse, e per quali attività o processi?
Due argomenti emergono abbastanza chiaramente. C’è sicuramente curiosità e riconoscimento delle potenzialità, ma il passaggio da AI ad Agentic AI introduce anche un tema molto importante, che è quello della fiducia. Se la AI generativa forniva sostanzialmente informazioni velocissime e complete su cui basare le nostre decisioni, l’Agentic AI offre la possibilità di delegare queste decisioni, e con esse interi processi.
Su questo tema il report evidenzia, a livello europeo, che solo un business leader su sei si sente confidente di poter portare in produzione questa delega alla decisione e all’azione. I motivi variano, ma alcuni sono decisamente più ricorrenti di altri: la possibilità che le conclusioni dell’AI siano inficiate da errori e approssimazioni (e qui torniamo anche al discorso delle piattaforme dati aziendali menzionate in precedenza) e anche la difficoltà, a fronte di un output errato, di capire perché si sia generato l’errore, cioè in un certo senso la difficoltà di “entrare” negli algoritmi per poter procedere con un reverse engineering delle decisioni. Il tema è sicuramente di interesse, comunque, soprattutto per scenari come l’elaborazione e la condivisione strutturata di informazioni, la verifica di conformità, la notifica e anche l’implementazione di correzioni o interventi che risultano necessari, la valutazione di possibili alternative.
In quali settori osservate maggiori investimenti o “coraggio” nell’avviare progetti di intelligenza artificiale? Dove, viceversa, gli ostacoli o le diffidenze pesano maggiormente?
Al netto di alcuni settori talmente specifici che da anni beneficiano di un percorso proprio di sviluppo (penso per esempio alla ricerca medica o scientifica), direi che i settori della logistica e della produzione hanno sicuramente grandi aspettative. Ci sono poi alcuni scenari trasversali che toccano tutti i settori, come il miglioramento dell’efficienza delle operations aziendali o la possibilità di estendere le interazioni con i clienti ben oltre la pura AI generativa o conversazionale, creando scenari di customer care o addirittura degli interi customer journey molto più articolati e completi dove diversi agenti interagiscono tra di loro.
In questo momento non vediamo un settore industriale palesemente scettico o fermo; sicuramente in aziende di grandi dimensioni l’individuazione di casi d’uso e la realizzazione di progetti potrebbe presentare maggiori difficoltà e richiedere più risorse che in aziende più piccole, ma direi che anche settori tradizionalmente più cauti o vincolati come ad esempio quello bancario stanno sicuramente mostrando segni di interesse.
Siamo quasi alla fine dell’anno: quali tendenze avete osservato sul mercato italiano in questo 2025? E che cosa vi aspettate per il 2026?
Il 2025 ha confermato una tendenza chiara: l’AI è diventata parte integrante delle strategie aziendali, ma il vero motore del cambiamento restano le persone, in particolare i business decision maker. Sono loro, con idee e visione, a immaginare nuovi modi di fare impresa. Il futuro dell’AI non si costruisce domani: si costruisce oggi, attraverso le scelte che compiamo e le collaborazioni che attiviamo. Per il 2026 ci aspettiamo un’accelerazione verso l’integrazione completa dell’AI nei processi, con soluzioni sicure, scalabili e orientate ai risultati. Noi, come Insight, siamo pronti a essere il partner di riferimento in questo percorso: dal primo progetto pilota fino alla piena adozione.