21/01/2025 di Valentina Bernocco

Intelligenza artificiale e lavoro: il World Economic Forum è ottimista

Secondo il “Future of Jobs Report 2025” del Wef, le nuove tecnologie da qui al 2030 eroderanno 92 milioni di posti di lavoro ma ne creeranno 170 milioni. Ma serviranno nuove competenze.

Intelligenza artificiale e lavoro: si torna a parlarne, con riflessioni e numeri, nei giorni del World Economic Forum di Davos. La nuova edizione dell’annuale studiov basato sui dati di un migliaio di aziende di 22 settori e 55 Paesi, quest’anno presenta una visione abbastanza ottimistica sull’impatto delle nuove tecnologie (tra cui l’intelligenza artificiale, ma non solo) sull’occupazione: secondo le stime del Wef, a qui al 2030 eroderanno 92 milioni di posti di lavoro ma ne creeranno 170 milioni.

Con un saldo positivo pari a 78 milioni di posti di lavoro, lo scenario dipinto è abbastanza roseo, più roseo di quello di osservatori dell’economia come Goldman Sachs. Ma lo stesso report del Wef sottolinea il tema critico delle competenze: ogni cento posizioni lavorative attuali, 59 dovrebbero ricevere formazione per non scomparire prima della fine del decennio. Il rischio è che diventi sempre più ampio il divario tra le professioni considerate rilevanti e quelli che il report chiama “ruoli in declino”. I più a rischio sono cassieri, ruoli amministrativi e di segreteria, addetti alla pulizia e manutenzione degli edifici, magazzinieri, addetti alla stampa, contabili, addetti ai trasporti, addetti alla sicurezza fisica, impiegati bancari (nel front desk), addetti al data entry, commessi e addetti al servizio clienti, grafici, manager amministrativi e di business service, impiegati del settore assicurativo.

Sarà l’evoluzione tecnologica, ancor prima, a determinare cambiamenti nel mercato del lavoro: l’allargamento dell’accesso alla sfera digitale viene indicato dal 60% dei dipendenti d’azienda come fattore che impatterà sulle organizzazioni da qui al 2030. Nella classifica dei fattori d’impatto seguono l’incremento del costo della vita (indicato dal 50% dei dipendenti d’azienda), gli investimenti per la sostenibilità ambientale (47%), le politiche occupazionali e sociali (46%), il rallentamento della crescita economica (42%).

Infografica: World Economic Forum, "Future of Jobs 2025", gennaio 2025

Infografica: World Economic Forum, "Future of Jobs 2025", gennaio 2025

A proposito di competenze, nei prossimi anni le soft skill più richieste sul mercato del lavoro saranno resilienza, flessibilità, capacità di gestione delle risorse e controllo qualità, e contemporaneamente non si potrà evitare di avere un’alfabetizzazione informatica. Nel settore Ict, i ruoli più in ascesa sono oggi quelli legati all’intelligenza artificiale, ai Big Data, alle reti e alla cybersicurezza

Ben due aziende su tre pianificano di assumere nuovi collaboratori con competenze specifiche sull’intelligenza artificiale e il 77% farà attività di formazione e aggiornamento del personale. Allo stesso tempo, il 40% dei datori di lavoro pensa di poter tagliare almeno alcune posizioni usando l’AI per automatizzare alcune attività. “Tendenze come l’AI generativa e il rapido cambiamento tecnologico stanno sovvertendo i settori e i mercati lavorativi, creando allo stesso tempo opportunità senza precedenti e rischi profondi”, ha commentato Till Leopold, head of Work, Wages and Job Creation del World Economic Forum. “Ora è il momento che le aziende e i governi collaborino, investano in competenze e costruiscano una forza lavoro mondiale equa e resiliente”.

All’ottimismo di questo studio del World Economic Forum si affianca, oggi, quello di un nuovo studio di Pwc presentato proprio all’evento di Davos. Il 60% dei dirigenti d’azienda intervistati si aspetta una crescita dell’economia nel breve periodo (un anno), percentuale decisamente più alta rispetto al 38% emerso nello studio del 2024. Va detto che la maggior parte delle interviste è stata realizzata prima del verdetto elettorale che ha riportato Donald Trump alla presidenza. Il 29% dei dirigenti pensa comunque che la volatilità della macroeconomia possa causare perdite finanziarie ingenti nel corso dell’anno.

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