Huawei attraversa un periodo di cambiamenti, per lo più obbligati, dopo aver archiviato un non facile 2021. Nell’anno appena trascorso, rispetto al 2020, l’azienda di Shenzhen ha registrato un calo del 28,9% nei ricavi, assestati a 634 miliardi di yuan ovvero circa 99 miliardi di dollari. Lo stesso 2020 era già stato un anno di rallentamento, con una crescita limitata al 3,8%, ben lontana dai fasti del 2019 (+19%).
L’annuncio è giunto all’interno del messaggio di auguri di fine anno di Guo Ping, il rotating chairman in carica, rivolto ai dipendenti. Nella lettera il calo di giro d’affari viene motivato citando le “difficili sfide” dovute a un “contesto di business imprevedibile”, alla “politicizzazione della tecnologia” e a un “crescente movimento di de-globalizzazione”. Tutte dinamiche che penalizzano le aziende cinesi.
In altre parole, l’andamento delle vendite di Huawei è un riflesso delle perduranti sanzioni statunitensi, della crisi dei semiconduttori e di una generalizzata diminuzione della domanda di smartphone sul mercato mondiale. Il primo dei tre elementi, in particolare, non è una sorpresa: da anni Huawei è al centro della lotta politica e commerciale avviata dalla presidenza di Donald Trump. Le società cinesi messe in “lista nera”, come Huawei, non soltanto hanno la strada sbarrata su un mercato di sbocco importante come quello nordamericano, ma nemmeno possono più godere di licenze software made in Usa (innanzitutto, quelle di Android).
Huawei ha reagito a tutto ciò diversificando la propria strategia commerciale e tecnologica, ovvero ha limitato la dipendenza dagli smartphone (fino a cedere le attività del marchio Honor) e ha proseguito nello sviluppo del sistema operativo HarmonyOS, destinato non solo ai telefoni ma anche all’Internet of Things e alle automobili connesse.
Per contrastare le citate difficoltà, ha detto Guo nella sua lettera ai dipendenti, “dobbiamo restare fedeli alla nostra strategia e rispondere razionalmente alle forze esterne che sono al di fuori del nostro controllo”. Dunque l’azienda si dedicherà ulteriormente allo sviluppo di tecnologie per l’automotive e per i dispositivi smart, nonché alla coltivazione e alla ricerca di talenti. Per diventare più agile e reattiva ai cambiamenti della domanda, inoltre, favorirà la delocalizzazione e delegherà alle filiali alcune decisioni in precedenza controllate dal quartier generale di Shenzhen.
In mezzo alle cattive notizie ce n’è anche una buona: la conquista del secondo posto nell’ultima edizione dello EU Industrial R&D Investment Scoreboard, una classifica delle aziende che, su scala mondiale, più hanno investito in ricerca & sviluppo nell’anno 2020. Salendo di un gradino rispetto al terzo posto della precedente classifica (relativa al 2019), Huawei si è piazzata dopo Alphabet e prima di Microsoft, Apple e Facebook. Attualmente la società cinese dà lavoro a 2.400 ricercatori nella sola Europa.