Una scuola digitale, che si trasforma con la didattica a distanza e con soluzioni che rendono più moderno ed efficace lo studio e l’insegnamento, a casa e in aula: il settore dell’istruzione italiano sta cercando di andare in questa direzione, anche sfruttando i fondi del Pnrr. Gli ostacoli non mancano, a partire dalle tradizionali difficoltà di finanziamento e coordinamento del settore pubblico. Ma se i giovani sono il futuro della società, allora il digitale è il futuro della scuola, quella privata così come quella pubblica.
Pnrr e scuola digitale
Per la Missione 4 del Pnrr, dedicata al mondo dell’istruzione, sono sul piatto 30,88 miliardi di euro. Per il potenziamento dell'offerta dei servizi di istruzione, ovvero la Componente 1 della Missione 4, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede uno stanziamento di circa 20 miliardi di euro, sui circa 750 miliardi di euro totali del Pnrr. L’obiettivo generale è quello di colmare o ridurre in misura rilevante le carenze strutturali in tutti i gradi del sistema scolastico, dagli asili nido alle università, con nove progetti di riforma e 14 investimenti.
Quattro le aree in cui si articola la componente 1 della Missione 4:
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il miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi di istruzione e formazione;
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il miglioramento dei processi di reclutamento e formazione degli insegnanti;
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l’ampliamento delle competenze e il potenziamento delle infrastrutture;
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la riforma e il potenziamento dei dottorati.
Il digitale è un elemento trasversale a tutte queste aree ma entra in gioco soprattutto nella formazione degli insegnanti (che devono imparare a utilizzare le tecnologie informatiche e anche a comprenderne la portata sulle nuove generazioni), nel miglioramento delle infrastrutture (uno degli investimenti è dedicato a creare circa 100mila nuove aule didattiche e laboratori per la “scuola 4.0”) e nello sviluppo di nuovi linguaggi e competenze (con investimenti tesi ad alimentare le competenze Stem e a introdurre corsi di coding obbligatori nel ciclo di studi).
La Componente 2 della Missione 4 riguarda, invece, i rapporti tra mondo della ricerca e imprese e ha uno stanziamento di circa 6 miliardi di euro. Tre gli obiettivi principali:
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rafforzare le attività di ricerca e favorire la diffusione di modelli innovativi per la ricerca di base e applicata, basati sulla sinergia tra università, enti di ricerca e soggetti pubblici o privati;
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supportare i processi di innovazione e il trasferimento tecnologico;
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potenziare le infrastrutture di ricerca, il capitale e le competenze che favoriscono l’innovazione.
Le risorse del Pnrr per l’Università e la ricerca
Non tutte le misure della Missione 4 si occupano di digitale. Il Pnrr, per esempio, prevede 960 milioni di euro per realizzare 60mila posti letto per studenti universitari entro il 2026, e altre risorse sono destinate ad attivare partenariati e finanziare dottorati e progetti di ricerca. Tuttavia, indubbiamente l’aggiornamento tecnologico degli atenei è un passaggio fondamentale per la competitività del sistema universitario italiano.
Considerando l’eccellenza italica in alcuni ambiti del sapere, umanistico, tecnico e scientifico (architettura, design, scienze dell’alimentazione, belle arti), offrire strumenti di didattica digitale potenzia l’attrattività degli atenei nostrani nei confronti di studenti stranieri. Più in generale, per le future matricole che risiederanno fuori sede, il blended learning (programmi che integrano didattica ed esami in presenza e a distanza) è attrattivo perché consente modalità di frequenza e di organizzazione dello studio flessibili, che non costringono a quotidiane trasferte. Non va poi dimenticato che il digitale applicato ai processi di backoffice è il principale strumento per la semplificazione della burocrazia, tradizionale “fardello” non solo per la Pubblica Amministrazione ma anche per il sistema universitario italiano.

I cinque “campioni nazionali” nati con il Pnrr
Grazie al Pnrr e a cinque bandi specifici sono stati creati anche altrettanti “campioni nazionali”, ovvero centri di ricerca e sviluppo di eccellenza, strutturati come reti di università (statali e private), enti pubblici di ricerca, imprese e altri soggetti pubblici e privati. Ciascun centro si colloca in un ambito di competenza:
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simulazioni, analisi dati, calcolo ad alte prestazioni e quantistico;
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agritech (tecnologie per l’agricoltura):
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sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA:
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mobilità sostenibile;
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biodiversità.
Ogni “campione nazionale” ha una struttura organizzativa di tipo hub&spoke, con un soggetto deputato alla gestione e al coordinamento (hub) e altri che portano avanti le attività di ricerca e innovazione in ambiti specifici (spoke). Dai lavori di ricerca dovranno nascere iniziative imprenditoriali, startup e spin-off di ricerca.
Nell’area più strettamente connessa alle nuove frontiere dell’informatica, da un bando di circa 320 milioni di euro è nato il Centro Nazionale di Ricerca in High Performance Computing, Big Data e Quantum Computing (Icsc), che ha quartier generale nel Tecnopolo di Bologna ed è composto da 51 membri fondatori. Le sue dieci spoke sono dedicate a: supercalcolo e Big Data; ricerca fondamentale e space economy; astrofisica e osservazione del cosmo; studio della Terra e del clima; disastri ambientali e naturali; applicazioni ingegneristiche e modellazione multi-scala; scienza dei materiali e delle molecole; medicina In Silico e dati omici; società digitale e smart city; calcolo quantistico.
Il “campione nazionale” dell’agritech è invece il Centro Nazionale di Ricerca per le Tecnologie dell’Agricoltura, anch’esso nato da un bando di circa 320 milioni di euro e compartecipato da 28 atenei, cinque centri di ricerca e 18 imprese. Porterà avanti nove spoke finalizzate a cinque obiettivi: promuovere una produzione sostenibile e resiliente al cambiamento climatico; ridurre l’impatto ambientale e gli sprechi del settore agricolo; favorire l’economia circolare; sostenere la ripresa e lo sviluppo delle aree marginali; promuovere la sicurezza e la tracciabilità lungo la catena dell’agroalimentare e dell’allevamento.
Per tutto questo serviranno, tra le altre cose, alcune tecnologie abilitanti (Key Enabling Technologies), che dovranno essere definite e applicate nel modo migliore. Ne citiamo alcune:
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sensoristica, dispositivi e connettività Internet of Things per la raccolta di dati su condizioni del suolo, produzione, parametri ambientali, qualità, ecc.;
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software di analytics applicati alla produzione agricola (per massimizzare la resa e ridurre l’uso di pesticidi, fertilizzanti o acqua);
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software di