17/12/2019 di Redazione

Chief innovation officer, professione del futuro (oggi misteriosa)

Uno studio dell’Università di Pavia e di Startupitalia svela che solo nel 2,2% delle aziende italiane esiste attualmente la figura del responsabile dell’innovazione. Ma nei prossimi cinque anni la percentuale salirà.

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Chief innovation officer, chi era costui? Probabilmente la maggior parte dei professionisti d’azienda, manager o dirigenti, di fronte al nome che definisce questa figura professionale restano ancora disorientati. Ma fra qualche anno il ruolo del responsabile dell’innovazione, una sorta di “regista di idee” proiettate sul futuro, è destinato a guadagnare notorietà. Uno studio dell’Università di Pavia e di Startupitalia svela che attualmente la figura del chief innovation officer (Cino) è presente solo nel 2,2% delle aziende italiane e che in un caso su due la sua assunzione è piuttosto recente, cioè risale a non più di due anni addietro.

La ricerca ha coinvolto 202 dirigenti con ruoli di massima responsabilità sui processi di innovazione dell’azienda in cui lavorano. Il 51% degli intervistati è occupato in società di grandi dimensioni, il 18% per realtà medie e il 31% in piccole imprese.

La presenza dei Cino non è uniformemente distribuita, bensì risulta più consistente nelle aziende del settore digitale e in quelle che si occupano di scienze della vita, due ambiti in cui si fa innovazione continua. A seguire, gli altri due settori il cui è più diffusa sono il bancario e l’assicurativo, che vedono in questo professionista un motore di trasformazione verso nuovi modelli di business. Un altro dato che balza all’occhio è la disparità di genere: tra i Cino italiani le donne sono solo il 9,5% (e tra le grandi imprese non raggiungono neanche il 7%), percentuale ancor più bassa del già scarso 14,7% di media europea e statunitense.

Di che cosa si occupa un chief innovation officer, e come opera? Nell’ 83,7% delle aziende italiane in cui prevista questa figura specifica, essa riporta direttamente al Ceo. “L’introduzione di un Cino corrisponde alla presa di coscienza del fatto che innovazione e tecnologia non sono equivalenti”, spiega Stefano Denicolai, professore di Innovation Management all’Università di Pavia. “Innovazione, in un contesto aziendale, significa anzitutto ideare e concretizzare proposizioni di valore dirompenti, ripensare i modelli di business. La priorità del Cino è quella di capire e intercettare trend tecnologici e di mercato, al fine di sviluppare una cultura orientata all’innovazione in azienda: come un regista, ha il compito di raccogliere e coordinare tutte le idee, creando uno scenario che funzioni”.

In ogni caso, visto l’ingresso recente (da meno di due anni per il 50% delle aziende), i Cino per ora hanno inciso relativamente poco sui processi di scouting e sull’acquisizione di startup innovative. “Al momento”, illustra Denicolai, “i risultati principali si riscontrano nell’aver aiutato l’impresa a cogliere meglio opportunità latenti, ma i Cino si dimostrano anche consapevoli di avere responsabilità di medio-lungo termine: si intravedono dunque i primi segnali del cambiamento, in positivo, della cultura aziendale in chiave innovativa”. Dalle risposte degli intervistati si può dedurre che entro il 2025 il ruolo del chief innovation officer prenderà piede nel 12,8% delle aziende italiane.

 

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