27/02/2015 di Redazione

Gli italiani non si fidano del Web, ma venderebbero i loro dati

Secondo una nuova ricerca di Symantec, The state of privacy 2015, un abitante della Penisola su due guarda la rete con sospetto, ma solo il 6% dei nostri connazionali sarebbe disposto a pagare somme maggiori per proteggersi. Il 46%, invece, scambierebbe i

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Un italiano su due è preoccupato della sicurezza dei propri dati personali su Internet. Ma solo il 6% pagherebbe per ottenere soluzioni di protezione più efficaci, mentre un abbondante 46% non avrebbe problemi a scambiare le proprie informazioni in cambio di vantaggi di vario genere (sconti, premi, accesso alle app e così via) in netta controtendenza rispetto agli abitanti di altri Paesi europei. Sono alcuni dei risultati presenti nella ricerca “The state of privacy 2015”, condotta da Edelman Berland per Symantec, nata per valutare la percezione di oltre settemila persone in sette Paesi Ue in termini di protezione delle informazioni.

“Alcune conclusioni sono sorprendenti”, commenta Giampiero Nanni, government affairs Symantec per l’Emea. “Il dato medio è che i cittadini percepiscono i mezzi tecnologici e il Web come poco sicuri. Si tratta di sensazioni ovviamente, non stiamo giudicando l’affidabilità dei mezzi. Nella seconda parte della ricerca abbiamo investigato i comportamenti degli intervistati su Internet”.

In generale, gli italiani emergono dall’indagine come più “spensierati” in termini di sicurezza informatica rispetto al resto degli europei, soprattutto nella fascia di età tra i 35 e i 54 anni. Ma sanno anche che i dati hanno un prezzo: il 94% degli intervistati nello Stivale pensa che le informazioni cedute ad aziende o altre realtà abbiano un valore e, per un terzo di loro, questo supera addirittura i diecimila euro.

Ad esempio, il 53%degli italiani legge tutti i termini di licenza per i servizi di shopping online, numeri che non hanno eguali all’estero e forse non molto credibili, e il 46% non ha problemi a cedere i propri dati a terze parti per uso commerciale. Soprattutto se questo significa un ritorno in termini economici, come detto prima. A sorpresa, il comparto di cui si fidano di più in termini di sicurezza di dati è quello sanitario: oltre sei su dieci affidano con tranquillità informazioni private a ospedali e Asl. Seguono le banche, con il 59% di tasso di fiducia, i servizi governativi, le compagnie It, il settore retail e infine i social network.

Sono proprio realtà come Facebook e Twitter a rappresentare il “male oscuro” che può colpire la privacy. Apparentemente un controsenso, se pensiamo a quanti dettagli delle proprie vite gli utenti affidano volontariamente ogni giorno ai social, senza curarsi minimamente di come queste informazioni possano poi essere utilizzate.

 

 

Polizia Postale, una garanzia

E il rapporto con le Istituzioni? La Polizia Postale è vista come una realtà vicina e come esempio di best practice internazionale, in grado di risolvere tutti i problemi a detta del 56% degli italiani. Le forze dell’ordine sono la prima entità a cui ci si rivolge in caso di furto di dati, seguite dalla stessa azienda fornitrice del servizio, dalle banche e dai social media.

“Strutture come il Cnaipic, afferente al Ministero dell’Interno, svolgono ogni giorno attività di prevenzione e repressione dei crimini informatici, che hanno come obiettivo le infrastrutture informatizzate di natura critica e di rilevanza nazionale”, spiegano Federico Pereno e Massimo Consoletti del Cnaipic, Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche. “Solo nel nostro settore di competenza, nel 2014 abbiamo rilevato quasi 1.300 attacchi, in particolare con malware, e abbiamo avviato settecento indagini di polizia giudiziaria”.

 

 

Responsabili o irresponsabili?

Quali comportamenti mettono in atto gli abitanti della Penisola per proteggere i propri dati? Sette su dieci utilizzano programmi antivirus, la metà cerca di ridurre la quantità di informazioni personali pubblicata online e il 45% cambia regolarmente le password. Il richiamo dei social e dello shopping online però è troppo forte: solo il 12% evita di pubblicare post su Facebook o tweet e meno di uno su dieci non compra prodotti sul Web. Apparentemente bizzarra, ma diffusa, è la pratica di falsificare le informazioni personali: strategia seguita almeno una volta da un italiano su quattro.

Esistono quindi strade differenti per abbassare il rischio di un attacco informatico, ma, tirando le somme, chi dovrebbe assumersi soprattutto la responsabilità della sicurezza? Secondo i nostri connazionali, i governi (44%), seguiti dalle aziende (33%) e dai consumatori stessi. Un modo un po’ troppo facile per addossare il peso delle proprie azioni agli altri, seguendo una logica dello scaricabarile abbastanza diffusa nel nostro Paese. Un pensiero che, infatti, non trova eguali negli altri Stati, dove le risposte raccolte da Symantec indicano che la responsabilità dovrebbe essere ripartita con pesi simili tra i vari attori.

Comunque, tutti sono d’accordo sul fatto che si dovrebbe fare molto di più in questo campo, in vista anche dell’arrivo, probabilmente entro l’anno, della nuova legislazione comunitaria sulla sicurezza dei dati: “Le aziende devono essere più trasparenti con i clienti in merito alla protezione delle informazioni personali dei loro clienti”, conclude Nanni. “La sicurezza non deve essere vista solo come un costo e l’industria informatica ha oggi l’opportunità di assistere i consumatori nelle loro decisioni riguardo la privacy”.

 

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