11/07/2016 di Redazione

Più grandi con i Big Data, portatori di ottimismo e innovazione

Una ricerca di Microsoft e Ipsos Mori svela che in Italia, come nel resto d’Europa, le aziende che raccolgono e analizzano i dati sono più propense a immaginare una crescita del business. Ne abbiamo parlato con Vincenzo Esposito, direttore della divisione

immagine.jpg

I grandi dati fanno diventare grandi le aziende. Un gioco di parole presto spiegato: imparando a raccogliere, ma soprattutto a interpretare i Big Data, il business può crescere meglio e più rapidamente. Anche le aziende italiane piccole e medie stanno cominciando a capirlo, come emerso da una recente indagine commissionata da Microsoft a Ipsos Mori. Lo studio, realizzato fra gennaio e febbraio di quest’anno, ha coinvolto 6.200 dipendenti di Pmi di una ventina di Paesi europei, fra cui circa 300 italiani. Ebbene: le piccole e medie imprese tricolori che si si fanno carico della gestione dei dati sono risultate più ottimiste sul futuro del business, ovvero due volte più inclini ad avere aspettative positive sul miglioramento della propria situazione finanziaria nel breve periodo (orizzonte di dodici mesi). Fra coloro che “curano” i Big Data la percentuale di ottimismo arriva al 46%, mentre fra le altre Pmi sfiora solo il 25%.

Chi sa raccogliere i dati e trarne insight utili ha anche una maggiore capacità di innovazione. In Italia, infatti, le Pmi seguaci dei Big Data e degli analytics nel 46% dei casi ritengono probabile il lancio di nuovi prodotti o servizi nel giro di un anno (la percentuale è ferma al 17% nel gruppo che non sfrutta i dati) e nel 43% ipotizzano un allargamento sui mercati esteri (versus 17%).

Abbiamo approfondito il tema con Vincenzo Esposito, direttore della divisione Pmi e partner di Microsoft Italia.

Vincenzo Esposito, direttore della divisione Pmi e partner di Microsoft Italia

 

A che punto siamo in Italia nell’utilizzo dei Big Data?

La situazione è abbastanza polarizzata. Ci sono aziende in fase avanzata, quelle che hanno capito come la tecnologia e in particolare il cloud rappresentino una grande opportunità, mentre altre ancora faticano a cambiare. Il nostro sforzo è quello di far comprendere l’opportunità enorme che si presenta alle Pmi, le quali possono sfruttare tecnologie e servizi un tempo riservati alle grandi aziende e oggi, invece, accessibili attraverso modelli a consumo e attraverso il cloud.

Da che cosa dipende la propensione o la resistenza ad abbracciare questo cambiamento?

La variabile significativa che salta subito all’occhio è quella generazionale: le realtà che dispongono di una popolazione aziendale più giovane, così come le startup mostrano una propensione naturale verso la tecnologia e, dunque, anche verso l’utilizzo dei dati. C’è poi una tendenza che riguarda il settore manifatturiero, particolarmente interessante per il contesto italiano. Finora questa fetta così significativa dell’economia nostrana era rimasta un po’ ai margini della rivoluzione digitale degli ultimi anni. Ora, tuttavia, le aziende manifatturiere nostrane iniziano a guardare alla tecnologia in modo diverso rispetto al passato. E lo capiamo anche parlando con gli imprenditori: in passato, tutti i discorsi si focalizzavano sull’obiettivo dell’incremento della produttività mentre oggi, grazie a innovazioni come i sensori e l’automazione intelligente, si pensa anche all’ampliamento del business. In Italia stiamo lavorando con molte aziende con cui riusciamo a parlare non solo di efficientamento del meccanismo produttivo, ma di tecnologia che permette di allargare il business.

Ci fa qualche esempio?

Oltre a Fameccanica, potrei citare la bresciana Camozzi, un’azienda di medie dimensioni che produce macchine e componenti per l’automazione industriale. Con loro abbiamo portato avanti un progetto mirato a dotare le loro macchine di un corredo di sensori che raccolgono dati e li inviano sul cloud di Microsoft Azure. Da qui, attraverso gli analytics, diventa possibile prevedere gli interventi di manutenzione da eseguire. E tutto questo permette a Camozzi di vendere ai propri clienti non soltanto le macchine, ma anche il servizio di manutenzione predittiva.

 

 

Quali difficoltà si incontrano, tipicamente, in un progetto di adozione dei Big Data?

Posso esistere comprensibili criticità tecnologiche, le quali però fanno parte del gioco quando si introduce un’innovazione e possono essere affrontate in fase di system integration. Più delicata è la gestione del dato, che d’altra parte è il grande punto interrogativo ogni volta che si parla di cloud. Per il settore manifatturiero, tutto sommato, il problema della privacy si pone poco perché si tratta prevalentemente di lavorare sulla gestione e analisi di dati già visibili all’azienda e ai suoi clienti. La criticità, dunque, sta soprattutto nell’apprendere i nuovi sistemi interpretativi dell’Internet of Things. Le questioni di privacy interessano di più le soluzioni di Crm, e in questi casi il ruolo di Microsoft è quello di offrire supporto e consulenza sul corretto trattamento dei dati.

Qual è la tendenza più significativa degli ultimi anni nei progetti basati sui Big Data?

Il cloud ha democratizzato la Business Intelligence. Progetti che un tempo avrebbero avuto un costo inaccessibile per un’azienda medie e piccola oggi diventano possibili. Con Azure si può avere accesso al dato e conservarlo, ma anche elaborarlo attravero tecnologie sofisticate. Pensiamo ai progressi che stiamo facendo con l’intelligenza artificiale e con gli analytics, per esempio con la suite di Cortana e con Power BI. L’indagine realizzata con Ipsos Mori, d’altra parte, rispecchia bene la situazione che osserviamo sul mercato: mentre fino a pochi anni fa molte aziende ancora erano scettiche sull’utilità di investire sul dato, oggi questi dubbi non esistono più. Oggi, inoltre, è fondamentale il legame con il cloud perché alla maturità dell’azienda va associata la possibilità di rendere reali i progetti.

 

ARTICOLI CORRELATI