06/02/2025 di Roberto Bonino

I Ceo italiani guardano all’innovazione con realismo e aspettative

La 28a Global Ceo Survey di PwC rivela che il 61% degli amministratori delegati italiani vede l’intelligenza artificiale come priorità, ma il divario di competenze e la sostenibilità economica restano criticità chiave.

I Ceo italiani riconoscono il valore dell’innovazione e della trasformazione digitale, ma evidenziano la necessità di una gestione strategica del cambiamento per garantire competitività e sostenibilità nel lungo periodo. Questa è una delle possibili sintesi della 28a Annual Global Ceo Survey di PwC, che ha analizzato le opinioni di 122 amministratori delegati italiani e 4.701 leader aziendali nel mondo, offrendo una panoramica, filtrata dal giudizio dei top manager, sulle prospettive economiche, l'innovazione tecnologica, l'intelligenza artificiale, la sostenibilità e il capitale umano.

Nonostante le incertezze macroeconomiche, la maggior parte dei Ceo mantiene una visione positiva per il futuro, considerando l'innovazione tecnologica un elemento chiave per la sostenibilità economica. L'adozione della GenAI sta trasformando i modelli di business, migliorando l'efficienza e creando nuove opportunità: “Tuttavia, i benefici in termini di redditività non sono ancora evidenti, perché solo il 40% degli intervistati segnala un miglioramento dell'efficienza”, ha osservato Alessandro Grandinetti, partner e Clients&Markets leader di PwC Italia. “Il 60% dei top manager italiani, invece, prevede un impatto positivo sui profitti nei prossimi 12 mesi”.

Alessandro Grandinetti e Anna Ruzzene di PwC Italia

Alessandro Grandinetti e Anna Ruzzene di PwC Italia

L'integrazione dell'AI nei processi aziendali è una priorità per quasi la metà dei leader globali, con una percentuale più alta tra i Ceo italiani (61% rispetto al 47% mondiale). Tuttavia, solo un terzo dei dirigenti prevede di includerla nelle strategie di sviluppo della forza lavoro.

Apparentemente, l'adozione della GenAI non sembra ridurre le opportunità di lavoro. Il 45% dei Ceo italiani prevede di aumentare il numero di dipendenti nel 2025, rispetto al 42% globale, mentre solo il 9% ipotizza tagli, contro il 17% a livello internazionale. Il lato oscuro qui è che oltre la metà dei dirigenti italiani teme che, senza un adeguato adattamento, la propria azienda non sarà sostenibile economicamente nei prossimi dieci anni: “Inoltre, se guardiamo alle aspettative di inizio anno, l’impatto sulla redditività o sul fatturato della GanAI è giudicato da poco più di un terzo del campione, segno che per ora i risultati non stanno rispettando le promesse”, ha fatto notare Anna Ruzzene, partner Finance Transformation di PwC Italia.

Uno dei principali ostacoli alla crescita individuati dai Ceo italiani è il divario di competenze. Il 35% lo considera la principale minaccia per il futuro, dato superiore alla media globale del 23%. Questo evidenzia la necessità di investimenti in formazione per favorire l’adattamento alle trasformazioni tecnologiche.

I leader italiani si percepiscono in vantaggio rispetto ai competitor europei per flessibilità organizzativa (58%), proattività nell'innovazione (55%) e capacità di promuovere il marchio aziendale (44%). Tuttavia, esprimono preoccupazione per la trasformazione digitale interna e la capacità di espandersi in nuovi mercati.

L'orientamento alla ricerca e sviluppo emerge come un fattore strategico per affrontare le sfide globali. Tra il 2012 e il 2022, la spesa in R&S delle imprese italiane è cresciuta del 46,5%, con una temporanea flessione nel 2023 e una prevista ripresa nel 2024 (+4,6%). Il processo di innovazione richiede però un approccio integrato, che includa infrastrutture adeguate, competenze specializzate e strategie mirate per ottimizzare l’uso delle nuove tecnologie.

Antonio Zoccoli, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ha voluto sottolineare come l’Italia sia oggi la terza potenza mondiale nel mondo del supercalcolo, ma ci sia da lavorare sulla messa a terra di quanto prodotto dalla ricerca per aiutare concretamente il tessuto aziendale del Paese: “Se le grandi realtà hanno autonomia e risorse per poter sfruttare anche il lavoro di ricerca come il nostro, sulle Pmi occorre agire per far comprendere il vantaggio competitivo dell’introduzione delle nuove tecnologie, partendo da casi concreti, ad esempio nel manifatturiero con l’abbattimento degli stop legati alla rottura di impianti derivato dalla manutenzione predittiva”.

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