Inutile negarlo: ci sono due fronti nel mercato delle tecnologie IT infrastrutturali, uno favorevole e uno contrario a Vmware. O meglio alla “nuova” Vwmare, come impropriamente possiamo continuare a chiamarla giusto per capirci, perché sono passati ormai tre anni da quando l’azienda è stata acquisita da Broadcom e di nuovo ci sono solo le release che continuano ad aggiornare la piattaforma, l'ultima delle quali è Vmware Cloud Foundation 9.0 (ci arriviamo). Il cambiamento del modello commerciale, dalla vendita di licenze perpetue a quelle in abbonamento, è stato visto dalla concorrenza come un’occasione da cogliere al balzo per intercettare nuovi clienti.
Per Broadcom era, invece, una necessaria evoluzione verso un modello di vendita ormai diventato quasi uno standard sul mercato, e l’azienda sottolineava anche il vantaggio, per i clienti, della portabilità delle licenze. In ogni caso, inizialmente, il sospetto che fosse stata acquisita Vmware per capitalizzare sui clienti esistenti e sulla tecnologia già installata è serpeggiato tra editoriali e chiacchiere off-the-record. In realtà il compratore ha dimostrato un chiaro interesse a voler continuare a sviluppare la piattaforma tecnologica di Vwmare (a quel punto non più un’azienda controllata ma un marchio della stessa Broadcom), semplificando sia il modello di vendita sia la tassonomia dell'offerta.
“C’era l’idea che Broadcom non avrebbe poi investito su Vmware, invece l'azienda è arrivata con una visione strategica che si è poi realizzata”, ha esordito il country manager Mario Derba in conferenza stampa, argomentando a suon di numeri. Prima dell’acquisizione di Vmware, Broadcom spendeva in ricerca e sviluppo circa 5 miliardi di dollari all’anno in ricerca e sviluppo, mentre nell’anno fiscale 2024 ha investito 9,3 miliardi di dollari.
Derba ha anche raccontato che i “piani di fuga” ipotizzati da molti clienti non si sono poi realizzati, semplicemente perché conveniva restare con Vmware, perché il passaggio a un differente vendor (o in public cloud) comporta rischi, tempi e costi: in media, circa mille dollari per ogni macchina virtuale “migrata”. “Quando hanno fatto i conti, si sono accorti che rispetto ai concorrenti le nostre soluzioni sono straordinariamente competitive”, ha detto il country manager. “Nel valutare piani di fuga da Vmware, per la paura di un aumento dei costi, si sono resi conto che non avrebbe avuto senso”. (Tra parentesi, sottolineiamo che si è scelto di tornare indietro sulla scelta di ritirare la versione gratuita dell’hypervisor Vmware ESXi, nuovamente disponibile dallo scorso aprile).
Mario Derba, country manager e area sales lead Iberia & Italy di Broadcom
Un “cloud reset” per una nuova partenza
Broadcom sta puntando tutto sul cloud privato, pur ammettendo che per le aziende l’opzione del cloud pubblico non sia da scartare, almeno per certi carichi di lavoro o attività. Prima, però, bisogna fare ordine nell’infrastruttura IT esistente, eliminando le inefficienze, gli sprechi di risorse e i famigerati silos di dati. Per usare lo slogan scelto da Broadcom, bisogna schiacciare il tasto “reset” e ricreare un ambiente IT più integrato, controllato e gestibile. “Per molti”, ha proseguito Derba, “il cloud era un paradiso tecnologico dove si potevano posizionare le applicazioni e lasciare che facesse tutto lui. Poi i costi sono esplosi, la complessità è esplosa e la compliance si sta rivelando un problema gravosissimo”.
In questo scenario irrompe Vmware Cloud Foundation 9.0 (Vcf 9.0), la nuova versione della piattaforma che ha sintetizzato su di sé prodotti un tempo disgiunti. Vcf 9.0 viene proposto come un “modello operativo coerente per il cloud privato”, che abbraccia sia gli ambienti on-premise sia infrastrutture cloud gestite da fornitori di servizi e hyperscaler, e che utilizzabile per qualsiasi attività, dall’Erp all’intelligenza artificiale, dalle applicazioni tradizionali a quelle moderne o containerizzate. A detta di Broadcom, si dà una risposta a tre problemi fondamentali, alle “tre C”: complessità, costi e compliance.
Claudia Angelelli, manager solution engineering Vmware di Broadcom
Le novità di Vmware Cloud Foundation 9.0
Le novità delle release 9.0 riguardano soprattutto l’interfaccia utente (rivolta ai cloud admin ma anche al personale DevOps), il maggiore supporto alle tecnologie container e funzionalità che aiutano a controllare e ridurre i costi dell’infrastruttura IT. Particolarmente importante è la nuova interfaccia, che diventa la cabina di regia dell’intero ambiente informatico, dal calcolo, allo storage al networking, senza tralasciare la gestione delle identità e degli accessi (quindi il single sign-on, le policy delle password e i certificati) e l’analisi dei log, utile per migliorare sia le prestazioni sia la sicurezza dell’infrastruttura.
“I clienti sono organizzati per silos che non parlano tra di loro: uno per lo storage, uno per i server, uno per la sicurezza, uno per il network”, ha commentato Derba. “Broadcom ha preso le migliori soluzioni presenti sul mercato in queste aree, come quelle di Vmware, e le ha messe insieme. Non solo cambiando un titolo. Già Vmware aveva pensato di farlo dieci anni fa, chiamandolo software-defined data center, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Broadcom ha invece ha realizzato una piattaforma integrata che permette di realizzare “un private cloud come si deve”, ha detto il country manager. “Con questo annuncio abbiamo la migliore e più moderna piattaforma per realizzare il private cloud e abilitarlo a una eventuale migrazione al public cloud. Il cloud ibrido diventa accessibile e governabile”. Avendo ottimizzato la propria infrastruttura, le aziende possono poi anche scegliere di spostare parte delle proprie attività in public cloud senza – a quel punto – incorrere in costi, complessità e difficoltà di compliance.
“Avevamo una frammentazione di prodotti e versioni un po’ disgiunte. Con Vcf 9.0 abbiamo voluto dare un messaggio anche all’utenza tecnica”, ha detto Claudia Angelelli, manager solution engineering Vmware di Broadcom, spiegando come sia possibile installare in pochi minuti una macchina virtuale e in poche ore un’intera farm. In sostanza, si crea un cloud all’interno del data center del cliente, con tutti i vantaggi di flessibilità, elasticità e scalabilità tipici della “nuvola” ma con un maggiore controllo sui costi e sulla sicurezza.
La manager ha sottolineato i temi della sicurezza e della gestione, raccontando come spesso le aziende rimangano abbonate a servizi di cloud pubblico che non usano più o non sfruttano al pieno del potenziale. Non è un’accusa al cloud o al cloud pubblico, ma al modo un po’ casuale e disordinato in cui viene utilizzato. “Se il cloud non lo gestisci, il cloud ti sfugge e ti sfuggono i costi”, ha sintetizzato Angelelli. “Con Vcf 9.0 non c’è nulla che possa sfuggire al controllo”.
Scendendo un po’ nel tecnico, alcune delle caratteristiche innovative di Vcf 9.0 evidenziate da Broadcom sono: una migliorata efficienza dello storage con vSan Global Dedupe (tecnologia di intelligenza artificiale per l’identificazione di dati duplicati), sicurezza dei workload con il Confidential Computing, ottimizzazione dei costi e delle performance della memoria (con la tecnologia Advanced Memory Tiering per i dischi NVMe, in sostanza, viene gestita in automatico l’allocazione di workload su un tipo di memoria o sull’altro, in base alle esigenze di performance), la massimizzazione dei throughput (con Vcf Data Path Enhancements), la possibilità di recovery efficiente e nativo (con vSan-vSan Data Protection con Deep Snapshots) e una riduzione a zero del downtime in caso di spostamenti di dati e spegnimenti programmati di macchine virtuali. “Il cloud admin in quattro ore ha imparato, perché l’interfaccia già la conosce”, ha garantito Angelelli.
Quanto si risparmia? Secondo i calcoli di Broadcom (basati anche sull’utilizzo della soluzione al proprio interno), al netto della spesa per le licenze con Vcf 9.0 un’azienda può ridurre fino al 38% il costo totale di possesso per server e memoria, mentre per il Tco dello storage si arriva a un taglio del 34%. Si ottengono, inoltre, prestazioni di switching fino a tre volte migliori.
Fonte: Broadcom, “Private Cloud Outlook 2025”, giugno 2025
Il private cloud che piace alle aziende
Il lancio di Vcf 9.0 è costeggiato dai dati della ricerca “Private Cloud Outlook 2025”, condotta da Illuminas per conto di Broadcom su 1.800 decisori IT senior di piccole, medie e grandi imprese in Nord America, Europa e Asia‑Pacifico, intervistati tra marzo e aprile scorsi. L’84% del campione usa il cloud privato sia per applicazioni enterprise tradizionali sia per carichi di lavoro moderni e cloud-nativi, come applicazioni a microservizi e containerizzate.
Il 93% sceglie di affidarsi al cloud privato per requisiti di sicurezza e compliance e un simile 90% apprezza la visibilità e la prevedibilità dei costi associata a questa opzione, rispetto a un cloud pubblico che invece spesso (per il 94% degli intervistati) comporta sprechi per via di risorse e servizi che si pagano ma restano sottoutilizzati (il 48% stima che oltre un quarto della propria spesa in cloud pubblico sia inutilizzata).
Quali le sfide, per chi voglia adottare il cloud privato o già utilizzi ambienti di questo tipo, ma in modo non ottimale? I problemi più citati sono, ancora una volta, i silos (dal 35% degli intervistati) e la carenza di competenze interne (29%). Fra le priorità in tema “nuvola” per i prossimi tre anni, il 53% dei decisori IT indica l’avvio di nuovi workload in ambienti di cloud privato.