11/04/2025 di redazione

Compliance e innovazione, un equilibrio difficile per le imprese italiane

Secondo la "Global Compliance Survey 2025" di Pwc, per il 93% dei risk manager italiani la complessità normativa sta crescendo. Gli investimenti digitali per la compliance aumenteno, limitando però l'adozione dell’AI.

Immagine generata con l'AI

Immagine generata con l'AI

Le aziende italiane si trovano davanti a un bivio: da una parte l’esigenza di innovare, dall’altra un impianto normativo sempre più articolato, che rischia di rallentare la trasformazione digitale. È quanto emerge dalla PwC Global Compliance Survey 2025, che ha coinvolto oltre 1.800 responsabili delle funzioni di controllo in 63 Paesi, tra cui 41 in Italia.

Secondo il report, il 57% dei manager italiani ritiene che i requisiti di compliance stiano limitando l’adozione dell’intelligenza artificiale, strumento ritenuto essenziale per l’innovazione. Un dato che si affianca a una percezione diffusa di crescente complessità normativa: il 93% delle aziende italiane ha infatti registrato un aumento delle difficoltà legate al rispetto delle regole, un livello superiore rispetto alla media globale dell’85%.

La digitalizzazione, pur essendo al centro delle strategie aziendali, si scontra con vincoli stringenti. La cybersecurity è indicata come priorità dal 56% degli intervistati italiani (51% nel mondo), mentre l’implementazione e la gestione dei sistemi IT rappresentano una delle aree più impattate dalla regolamentazione: l’87% delle aziende italiane segnala difficoltà in questo ambito, a fronte di un 89% a livello globale.

Accanto a questi fattori esterni, le imprese italiane devono fare i conti con ostacoli interni. Cultura aziendale, complessità organizzativa e bassa consapevolezza dei dipendenti sono indicati come elementi critici rispettivamente dal 54%, 49% e 46% degli intervistati. A livello globale, invece, la sfida principale resta l’aumento della regolamentazione (47%).

Giuseppe Garzillo, Partner e Risk Private Coordinator di PwC Italia

Giuseppe Garzillo, Partner e Risk Private Coordinator di PwC Italia

I rischi percepiti dai risk manager italiani

In Italia, le aree di rischio percepite variano sensibilmente rispetto al panorama internazionale. Il 66% degli intervistati considera anticorruzione e antiriciclaggio come ambiti prioritari, seguiti da cybersecurity (56%), ambiente e sostenibilità (54%) e salute e sicurezza (51%). A livello globale, questi temi hanno un peso inferiore, indicando una maggiore pressione normativa locale su questi fronti.

Nonostante il quadro sfidante, le aziende stanno reagendo con investimenti mirati. Il 73% delle imprese italiane prevede di incrementare le risorse destinate a soluzioni tecnologiche per la compliance, puntando su formazione (76%), risk assessment (76%) e due diligence dei clienti (70%). Altre aree di applicazione della tecnologia includono la valutazione dei fornitori (69%) e il rilevamento delle frodi (65%).

L’adozione lenta dell’AI e i timori correlati

Tuttavia, l’adozione dell’intelligenza artificiale in Italia rimane contenuta. Solo il 27% degli intervistati dichiara di utilizzarla o testarla per analisi predittiva e data analysis, contro il 46% della media globale. Ancora più marcato il divario nell’uso dell’AI per l’intercettazione delle frodi: 19% in Italia rispetto al 36% mondiale.

Le ragioni di questa cautela emergono chiaramente: il 90% degli intervistati italiani teme un uso improprio dell’AI, la diffusione di disinformazione e la perdita di controllo sui processi. Seguono le preoccupazioni sulla privacy (78%), sull’affidabilità dei dati (83%) e sulla governance delle tecnologie AI (78%).

A fronte di queste sfide, solo il 7% dei manager italiani considera la propria azienda un punto di riferimento nella gestione della compliance, mentre il 44% non sta utilizzando l’intelligenza artificiale per alcuna attività in quest’ambito (contro il 32% della media globale). Una situazione che, secondo PwC, riflette il ritardo delle imprese italiane nel trasformare la compliance in un vantaggio competitivo: “La regolamentazione deve essere parte di un ecosistema aziendale sano, ma non può ostacolare la creazione di valore”, ha indicato Giuseppe Garzillo, Partner e Risk Private Coordinator di PwC Italia.

Per rispondere a questa complessità, le aziende stanno puntando sul rafforzamento delle competenze: risk management, legal e audit sono i profili più richiesti (78%), seguiti da capacità comunicative (61%) e pensiero critico (49%). Cresce anche l’esigenza di professionisti con competenze in pianificazione strategica e data analysis, per affrontare in modo proattivo le sfide della compliance.

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