04/09/2024 di Valentina Bernocco

Industria dei data center sempre più energivora e inquinante

Secondo Morgan Stanley, a livello globale le infrastrutture di elaborazione dati avranno prodotto entro il 2030 2.500 miliardi di tonnellate di emissioni di anidride carbonica equivalenti.

I data center hanno fame di energia e il loro impatto ambientale non può essere sottovalutato. In un nuovo report di Morgan Stanley si stima che, da qui al 2030, l’industria dei data center avrà scaricato nell’atmosfera 2.500 miliardi di tonnellate di emissioni di anidride carbonica equivalente. All’alba del nuovo decennio, il settore arriverà a produrre una quantità di emissioni inquinanti pari al 40% delle attuali generate negli Stati Uniti in un anno.

Come noto, nell’ultimo decennio il boom dei dati, dei servizi di cloud computing e, più recentemente, delle applicazioni di intelligenza artificiale (che in gran parte poggiano sul cloud) ha spinto la costruzione di nuove infrastrutture di elaborazione dati, in particolare quelle dei grandi hyperscaler come Aws, Microsoft, Google e Alibaba, ma anche di fornitori di servizi digitali di scala planetaria come Apple e Meta. 

Queste stesse aziende, però, stanno portando avanti politiche di sostenibilità centrate sull’uso di fonti rinnovabili per l’alimentazione dei server e il raffreddamento, sull’energia circolare, sul ricorso a materiali edili green e sulla compensazione delle emissioni prodotte. Tutti o quasi puntano all’obiettivo della neutralità carbonica nel lungo periodo o già entro il 2030, come per gli aderenti al patto Climate Neutral Data Centre Pact. Meta e Alphabet stanno anche cercando, ciascuna sulla sua strada, di sviluppare tecnologie proprietarie per la cattura diretta dell’aria. Nel prototipo di Meta, in particolare, il calore prodotto dal data center viene sfruttato per rigenerare il materiale assorbente.

A detta di Morgan Stanley, la necessità degli hyperscaler di ridurre il proprio impatto ambientale crea un mercato ampio per le soluzioni di decarbonizzazione, come quelle per la cattura, il riuso e la conservazione dell’anidride carbonica derivante da processi industriali (chiamate Carbon Capture and Storage) e come quelle per la rimozione dei gas serra già immessi nell’atmosfera (le tecnologie e i metodi di Carbon Dioxide Removal). Possiamo aggiungere all’elenco anche le soluzioni di green IT, ovvero quelle progettate per minimizzare i consumi e gli impatti ambientali delle tecnologie informatiche.

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La stessa Morgan Stanley ha anche calcolato che la sola domanda di potenza di calcolo a supporto dell’AI generativa (cioè delle attività di training dei modelli, di esecuzione e distribuzione delle applicazioni) entro il 2027 potrebbe fino a equiparare il fabbisogno energetico annuo della Spagna (del 2022). L’incremento di consumi energetici dell’AI Generativa sarà del 70% anno su anno tra il 2024 e il 2027, ben superiore al tasso di crescita del mercato. Questa discrepanza si spiega con il fatto che i modelli diventeranno sempre più complessi e le applicazioni “pesanti”, cioè esigenti in termini di capacità di calcolo, storage e scambio di dati.

Poiché non è pensabile l'idea di realizzare un’esatta mappatura dei data center di tutto il mondo, delle loro infrastrutture e delle applicazioni eseguite, così come dei sistemi di raffreddamento installati, è sostanzialmente impossibile calcolare con esattezza il loro impatto ambientale. I fornitori come Enel stimano che un data center consumi in media 200 terawattora di energia all’anno, e su tale misura si calcola che questa industria a livello globale rappresenti l’1% dei consumi mondiali di elettricità. Simile la stima della International Energy Agency (Iea), compresa tra l’1% e l’1,5%.  Nel 2020, a detta dell’agenzia, il volume di CO2 equivalente prodotto dai data center è stato pari a 330 megaton.

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