Parlare di retail sostenibile è forse un ossimoro: produrre e distribuire merci non è, di per sé, un gesto amico dell’ambiente. Ma è sicuramente possibile ridurre le emissioni di gas serra e gli sprechi, per esempio con modelli come il second-hand e il riuso di materie prime. Questo cambiamento è guidato, come è naturale che sia, anche da ragioni di convenienza, di bottom line: i target Esg sono un buon biglietto da visita per i retailer e aiutano ad attirare e fidelizzare i consumatori. E volte la ricerca del risparmio e la sostenibilità possono andare a braccetto.
Dall’ultimo “Osservatorio per il retail sostenibile” di BearingPoint, per esempio, emerge che il 63% dei consumatori europei acquista prodotti di seconda mano e il 57% rivende i propri articoli usati. Queste percentuali in Italia salgono, rispettivamente, al 66% e al 62%. Il noleggio, invece, nei mercati europei stenta a decollare e in Italia il 42% dei consumatori è riluttante rispetto a questa opzione. D’altro canto l’86% degli italiani evita di gettare prodotti danneggiati senza prima provare a ripararli.
“La sostenibilità negli ultimi anni è diventata una priorità nell’agenda dei Cio delle nostre aziende clienti”, ha testimoniato Gianluca Sacchi, consumer goods & retail lead di BearingPoint Italia, commentando i risultati dell’Osservatorio. “Il retail non fa eccezione e penso per esempio al settore della moda, che ha riconosciuto la necessità di adottare pratiche sostenibili. D’altra parte è una delle industrie più energivore al mondo, responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra”.
Fonte: BearingPoint, "Osservatorio sul retail sostenibile", aprile v2025
“Se da un lato i nostri retailer vedono un calo di volume nel loro modello di business principale, la vendita di prodotti nuovi, d’altro canto si vedono davanti altre opportunità”, ha detto Nicolò Masserano, sourcing & procurement & sustainability lead di BearingPoint Italia, citando il caso di un retailer francese che ha definito modelli di business circolari per aumentare la quota di second-hand sul totale delle vendite. Questo non basta, tuttavia, per potersi etichettare come azienda attenta alla sostenibilità.
“Molte aziende italiane”, ha proseguito Masserano, “fino a qualche anno fa, quando andava di moda fissare obiettivi di sostenibilità, si sono fatte prendere la mano e hanno parlato di decarbonizzazione con cadenze a cifre tonde, il 2025, il 2030. Alcune si sono poi accorte di essersi date obiettivi senza avere coscienza di dove si trovavano. Dal punto di vista della tecnologia, la prima cosa importante è adottare strumenti che aiutino a capire quale sia il punto di partenza: adottare e configurare questi strumenti permette di calcolare la propria impronta di carbonio. Ma non basta acquisire questi strumenti, bisogna avere consapevolezza dei propri processi”.
Gianluca Sacchi, consumer goods & retail lead, e Nicolò Masserano, sourcing & procurement & sustainability lead di BearingPoint Italia
Fondamentale, a detta di BearingPoint, è adottare soluzioni digitali per la misurazione dell’impronta carbonica e per la tracciabilità dei processi produttivi. “Oltre al reporting, è sicuramente importante la tracciabilità”, ha rimarcato Sacchi. “Essa significa trasparenza ma anche raccontare la storia del brand, del capo di abbigliamento o prodotto messo in vendita. È un passo fondamentale che le aziende stanno intraprendendo benché non sia facile nel retail, perché la tracciabilità arriva fino a un certo punto della catena di fornitura”.