Per registrare una Sim card telefonica in Cina bisognerà per forza metterci la faccia. Il riconoscimento facciale nella Repubblica Popolare è una cosa seria, e lo sta diventando sempre di più. Le città cinesi sono sempre più tempestate di videocamere di sorveglianza, nei luoghi pubblici, stazioni di polizia, fermate dei mezzi pubblici e fin negli incroci pedonali (per inchiodare, tramite software e confronto con le banche dati dei documenti d’identità, gli automobilisti ma anche i pedoni che trasgrediscono al codice della strada) e nelle aule scolastiche (in un liceo di Hangzhou, per esempio, dove gli studenti vengono monitorati e analizzati con programmi di intelligenza artificiale, per capire se siano attenti, disattenti, interessati o disinteressati alle lezioni).
Da quasi cinque anni, per registrare un qualsiasi account digitale su siti Web, social network, chat o altro in Cina è necessario fornire nome e cognome reali, così come è obbligatorio farlo per attivare un nuovo contratto con un operatore telefonico, in quel caso fornendo un documento d’identità e lasciandosi scattare una fotografia. Ora però, come segnalato da Bbc, è diventato anche necessario mettere la faccia davanti a uno scanner e far processare la propria immagine da un software di riconoscimento facciale, il quale confronta i dati ottenuti con la fotografia presente sul documento d’identità.
Questa procedura obbligatoria è entrata in vigore adesso, a distanza di tre mesi dalla firma di un nuovo regolamento da parte del ministro dell’Industria e della Tecnologia. Regolamento motivato, dichiaratamente, come un modo per “proteggere i legittimi diritti e interessi dei cittadini nel cyberspazio”, e oggettivamente utile per contrastare la registrazione di numeri telefonici e contratti mobile sotto falso nome da aspiranti truffatori, stalker o criminali. Come fatto notare da Jeffrey Ding, un ricercatore dell’Università di Oxford (impegnato a studiare l’uso dell’intelligenza artificiale in Cina), tutto questo però consentirà anche al governo di Pechino di sorvegliare ancor meglio i suoi cittadini. Sarebbe quindi parte del “tentativo molto centralizzato di tenere sotto controllo chiunque”, sottolinea il ricercatore..
Cina, impero della videosorveglianza
Qualche mese fa, una ricerca del Politecnico di Zurigo stimava che il numero di apparati di videosorveglianza attivi nel Paese debba salire a 450 milioni entro la fine del 2020. Un recente studio di Comparitech ha invece calcolato che nella classifica delle dieci metropoli del mondo più popolate di videocamere di sorveglianza in rapporto al numero di abitanti, solo Londra e Atlanta non sono ubicate in Cina. Attualmente, la città che annovera più videocamere Cctv in rapporto alla popolazione è Chongqing: quasi 2,8 milioni a sorveglianza di 15,3 milioni di abitanti, ovvero 168 ogni mille persone. Al secondo e terzo posto, rispettivamente, Shenzhen (dove si sta anche sperimentando l’acquisto di biglietti del treno con riconoscimento biometrico) e Shangai, mentre Pechino è nona.
Allargando la lista alle prime cinquanta città si trova, in chiusura di classifica, anche una presenza italiana: a Roma operano circa 8.300 videocamere di sorveglianza, circa una ogni cinquecento abitanti. Interessante è il tentativo di questo studio di correlare la capillarità dei sistemi Cctv all’indice di criminalità, che certo dipende da una molteplicità di fattori e retaggi ma che, idealmente, dovrebbe poter calare grazie al lavoro di monitoraggio e repressione del crimine reso possibile dalla videosorveglianza. Abbena, a detta degli autori del report “un elevato numero di videocamere è a malapena correlabile con un indice di sicurezza maggiore e con un indice di criminalità minore”. In parole povere, la videosorveglianza non è necessariamente una garanzia di maggiore sicurezza.