11/04/2023 di Redazione

Come e perché usiamo ChatGPT, e con quali rischi

Un sondaggio condotto su un migliaio di utenti statunitensi svela le abitudini di consultazione del chatbot. Non tutti i datori di lavoro sono a favore.

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ChatGPT è un fuoco di paglia o l’inizio di una vera rivoluzione tecnologica, culturale e forse anche antropologica? L’applicazione simbolo (o quantomeno la più nota) dell’intelligenza artificiale generativa resa “popolare” non è al momento accessibile in Italia, in attesa che OpenAI chiarisca i dubbi del Garante della Privacy. Nel resto del mondo, però, gli utenti continuano a utilizzare ChatGPT e un sondaggio condotto negli Stati Uniti mostra come e perché. Lo studio, realizzato dal sito WordFinder, ha analizzato i comportamenti di 1.024 utenti statunitensi e di 103 esperti di intelligenza artificiale, per il 57% uomini, per il 39% donne e per il 4% identificati come nonbinary. Più significativo, ai fini della rilevanza statistica, è forse il fatto che i Millennials siano di gran lunga la generazione più rappresentata nel campione (ben il 62%), seguiti dai Gen X (22%), mentre sono decisamente sottorappresentati gli estremi anagrafici dei Baby Boomer (7%) e dei Gen Z (9%).

Lo studio, in ogni caso, fornisce uno spaccato interessante. Il 46% degli intervistati ha detto di aver usato ChatGPT solo una o due volte, e rientra quindi nella categoria dei semplici curiosi, ma non mancano gli utilizzatori abituali: il 10% si rivolge al chatbot diverse volte nel corso di un mese, il 20% una volta alla settimana, il 19% più volte a settimana e il 5% ogni giorno. Va detto che in tutte le fasce anagrafiche la quota di chi fa uso regolare di ChatGPT (diverse volte al mese o più) è superiore al 50%.

Datori di lavoro favorevoli o contrari?
Più interessante ancora è il fatto che molti consultino l’intelligenza artificiale di nascosto. Un dipendente su quattro ha usato ChatGPT per ragioni professionali e il 29% lo ha fatto senza informare i propri datori di lavoro (la percentuale è più alta tra chi si occupa di business, mentre nel marketing si tende a usare il chatbot in trasparenza). Alcuni sono stati scoperti e il fatto non ha avuto conseguenze nel 68% dei casi, ma ci sono stati anche superiori che hanno voluto maggiori dettagli su come usare l’applicazione (18%) e pochi che hanno rimproverato il dipendente (4%) o chiesto di non ripetere l’errore (5%). Nel 2% dei casi l’aver utilizzato ChatGPT senza permesso ha causato il licenziamento.

Naturalmente, senza conoscere il contesto specifico di ciascun episodio è difficile emettere un giudizio sulla severità delle conseguenze eventuali, su che cosa sia giusto fare o non fare. Quel che è certo è che i progressi tecnologici dell’AI non possono essere ignorati, piacciano o meno.

(Immagine di macrovector da Freepik; immagine di apertura tratta da Freepik)


Perché e come si usa ChatGPT
Lo strumento sviluppato da OpenAI negli Stati Uniti viene utilizzato sul lavoro soprattutto per trovare o inventare idee (41% degli intervistati), per creare contenuti (20%), per rispondere a messaggi di posta elettronica (14%), per scrivere codice software (11%), per scrivere lettere di presentazione e curricula (10%) e per creare presentazioni (9%).

Nell’ambito degli utilizzi lavorativi, il 50% degli intervistati scrive da solo i prompt (cioè le stringhe di testo che impartiscono istruzioni al programma), altri li cercano su YouTube (14%), su risorse di OpenAI (12%), li chiedono ad amici (11%), li cercano su TikTok (10%), Twitter (9%), Facebook (8%), Instagram (5%) o in qualche caso chiedono aiuto ai colleghi di lavoro (4%).

ChatGPT viene anche usato come fonte di informazioni e conoscenza, un po’ come da decenni facciamo con i motori di ricerca, oppure come “aiutino” per redigere testi o per studiare. In particolare il 33% degli intervistati lo usa per trovare informazioni su un certo argomento, il 18% per aiutarsi a capire concetti di difficile comprensione, il 15% per apprendere nuove abilità, l’11% per scrivere testi, il 6% per ottenere il riassunto di un libro, il 4% per ottenere risposte per i compiti a casa e solo il 3% lo usa per studiare per un esame.

Preoccupazioni e riserve
Nelle ultime settimane ChatGPT è stato al centro di diverse preoccupazioni rese esplicite. Mentre dagli Stati Uniti partiva una
petizione con migliaia di firmatari (tra cui Elon Musk) che chiedono di mettere in pausa gli sviluppi di modelli di AI generativa evoluti, in Italia il Garante della Privacy contestava a OpenAI una mancata trasparenza sulla raccolta dei dati e insufficienti misure di tutela per i minori.

Esistono, poi, paure riguardanti gli impatti sull’occupazione. Una recente analisi di Goldman Sachs stima che le tecnologie di AI generativa possano causare nel medio termine la perdita di  300 milioni di posti di lavoro persi, sostituendosi a circa il 18% degli occupati attuali. Su una scala inferiore, anche il già citato studio di WordFinder dà qualche indicazione in merito: il 6% degli intervistati teme di poter perdere il lavoro a causa di ChatGPT. Una percentuale tutto sommato piccola.

Qualche numero su ChatGPT
Fino a ieri i modelli di machine learning riuscivano a svolgere i compiti specifici per i quali erano stati addestrati, per esempio la classificazione di immagine, la previsione di tendenze a partire da una base di dati, l’analisi di un testo. Oggi, invece, i modelli alla base delle applicazioni di AI generativa, cioè i Foundation Model,  possono essere usati per creare applicazioni diverse, con abilità differenti o multiple, che spaziano dall’elaborazione di risposte alla scrittura di testi, dalla risoluzione di problemi di matematica alla generazione di immagini, fino ad attività specifiche che rispondano alle esigenze della singola azienda.

L’evoluzione di queste tecnologie è stata rapida e sorprendente. Nel 2019 il modello pre-alleato di maggiori dimensioni conteneva 330 milioni di parametri, mentre GPT-3.5 (il large language model alla base dell’attuale versione pubblica di ChatGPT) ne conta oggi 175 miliardi di parametri. E non è noto, ma è certamente molto più elevato, il numero di parametri inclusi da OpenAI nell’ultima evoluzione, GPT-4. 

Presentata lo scorso novembre, la versione pubblica di ChatGPT si basa su GPT-3.5, la generazione 3.5 del modello linguistico (large language model) sviluppato da OpenAI. L’acronimo GPT sta per Generative Pre-trained Transformer, a indicare che il programma sa manipolare il linguaggio e creare contenuti sulla base di un “allenamento” già completato. Per il training di GPT-3 sono stati impiegati oltre 45 terabyte di dati tratti da libri, da pubblicazioni accademiche e dall’intera base di conoscenza di Wikipedia. In totale, il modello è stato allenato su 175 miliardi di parametri, un numero che impressiona ma che è ancora lontano dai 100mila miliardi di parametri mediamente processati dal cervello umano.

Il modello attualmente più evoluto, GPT-4, viene descritto da OpenAI come superiore a GPT.3,5 in quanto “più affidabile, più creativo e più capace di gestire istruzioni con sfumature di significato”. Si tratta, inoltre, non di un semplice modello linguistico bensì di un modello multimodale, per il cui allenamento sono stati impiegati sia testi sia immagini. OpenAI non ha svelato il numero di parametri gestiti da GPT-4, ma in molti hanno ipotizzato che possa avvicinarsi ai 100mila miliardi del cervello umano. Attualmente per accedere al programma è necessario mettersi in lista d’attesa, sapendo che verrà data precedenza agli sviluppatori software.


Intanto la versione di ChatGPT disponibile gratuitamente ha battuto il record di applicazione a più rapida ascesa della storia dell’informatica: lo scorso novembre nella prima settimana dal lancio ha registrato un milione di utenti, mentre nel mese di gennaio l’applicazione Web di ChatGPT ha avuto una media di 13 milioni di visitatori unici giornalieri.

Le statistiche dell’applicazione standalone non abbracciano, in ogni caso, l’intero fenomeno. Colossi del software hanno cominciato a integrare l’AI generativa nei propri prodotti, a partire naturalmente da Microsoft (il principale investitore di OpenAI), che l’ha portata nel motore di ricerca Bing, nella suite Dynamics 365 e in alcuni servizi di Azure. L’azienda di Redmond, inoltre, sta lavorando per
integrare ChatGPT nelle applicazioni di Microsoft 365, tra cui Word, Excel, PowerPoint, Outlook. Alphabet sta portando avanti una strategia simile con Bard, il proprio modello linguistico, integrandolo progressivamente in Google Search.

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